Alice attraverso lo specchio

Trasporre sul grande schermo un libro non è mai una passeggiata e la strada può rilevarsi più accidentata di quanto si pensi. Capita con opere di letteratura pregevoli sebbene non eccelse, figuriamoci quando si ha a che fare con capolavori transgenerazionali. Lo scoprì sulla sua pelle Walt Disney quando nel 1951 fece uscire Alice nel paese delle meraviglie: un flop bello e buono, colpevole di essere troppo avanti per l’America pre ’60. Divenne un cult in seguito, grazie ai cosiddetti figli dei fiori. Nel 2010 Tim Burton attinge ai testi di Lewis Carroll, li rielabora e, tradendoli, conferisce una parvenza di vita a un chiassoso giocattolone dai variopinti colori. Nasce Alice in Wonderland, uno dei migliori incassi nella storia del cinema. La dissacrazione in 3D però non ha fine e il vilipendio ha un nuovo nome: Alice attraverso lo specchio. In una parola, cosa rimane della trama originale? Nulla. Anzi, l’unico punto fisso è proprio il titolo.

In questa nuova avventura confezionata in CGI, la sceneggiatrice Linda Woolverton sfrutta l’idea di fondo del viaggio nel tempo per affrontare di petto il passato di alcuni dei personaggi principali. Il pubblico scoprirà così le ragioni dell’astio provato dalla Regina Rossa nei confronti della Regina Bianca e perché è sempre l’ora del thè nel sottomondo incantato. La stratificazione di universi spazio-temporali, però, sembra più che altro una scusa per frammentare la pellicola di set dall’iconografia psicodelica senza che si innestino gli immancabili cortocircuiti tra passato, presente e futuro cui il cinema ci ha da sempre abituato. L’ex genio dell’ibridazione della pop culture con il gothic style stavolta figura in testa ai titoli solo in veste di produttore, lasciando la sedia da regista a James Bobin, che non ha nel sangue lo stesso pizzico di follia del suo predecessore. Ma, non ci siamo affatto. Pur non essendo dietro la macchina da presa, la presenza di Burton è lo stesso ingombrante, giacché il sostituto imita a tal punto la cifra estetica dell’autore di Ed Wood da scimmiottarlo apertamente.

In Alice attraverso lo specchio, ritroviamo il resto del cast al completo a cominciare da Mia Wasikowska nei panni di Alice. Ma, chi davvero riesce a guadagnare la ribalta dell’assolo è Sacha Baron Cohen, chiamato a interpretare niente meno che il Tempo: figura semi-mitologica tra l’umano e l’inumano. La sua performance domina la scena, attira l'attenzione e riesce a distogliere lo spettatore dall’irritante “bric-à- brac” di mossette e risolini inspiegabilmente erogate dal Cappellaio Matto di Johnny Depp. È buffo che un comico quale Baron Cohen, noto per l’irriverenza dei suoi personaggi come Borat o Brüno, riesca a contenersi evitando di inquinare il testo con fare smargiasso molto meglio di Depp, ormai macchietta di se stesso. Seconda new entry è Rhys Ifans, nel ruolo di Zanik Hightopp ossia il severo genitore del Cappellaio.

È probabile che alla prossima edizione dei premi Oscar, Alice attraverso lo specchio ottenga di nuovo l’ambita statuetta nelle categorie Miglior Scenografia (Anna Lynch-Robinson e Ra Vincent) e Miglior Costumi (Colleen Atwood), com’era avvenuto sei anni or sono. Per il resto, anche la colonna sonora di un fuoriclasse quale Danny Elfman è un totale buco nell’acqua.