Angel Face: Bellezza e precarietà in un ritratto tutto al femminile tenero e malinconico

La piccola Elli-viso d’angelo (Angel Face, come recita il titolo) di otto anni e sua madre Marlène (Marion Cotillard) vivono in una piccola città della costa azzurra ma non appartengono alle ricche ‘consuetudini’ del luogo. Il loro è un vivere alla giornata che traduce l’instabilità e le insicurezze della bellissima Marlène nella vita disordinata e ben poco disciplinata di Elli. Nel suo processo di apprendimento mancano infatti i riferimenti tipici del mondo adulto, soppiantati invece dal disordine di vita e dalle dipendenze che la piccola osserva nella madre, come la dipendenza costante dagli uomini dall’alcol. Nei pochi momenti riservati al gioco bambino, ai suoi peluche Elli serve infatti shottini di bourbon, confidando all’amica perplessa che resti un segreto tra loro. Dunque, una vita di bambina assai complessa e poco ordinaria, che fatica anche a gioire dell’ambitissimo ruolo di Sirenetta assegnatole alla recita scolastica. Lei, la più bella tra tante, vive infatti un profondo disincanto emotivo, e quando la madre, in una delle sue ennesime ‘bravate’ si assenterà per diversi giorni di fila, Elli acuirà quel disincanto diventando sempre più ‘figlia di nessuno’.

L’opera prima della regista Vanessa Filho è un viaggio doloroso all’interno di una dimensione famigliare ridotta ai minimi termini (madre-figlia) e deteriorata dall’insufficienza di risorse (economiche e non solo) a loro disposizione. Angel Face scava nel rapporto tutto al femminile mostrando come le debolezze dell’adulto costringano spesso e volentieri il bambino a tirare fuori forze e risorse inaspettate, a vivere - di fatto - una precoce maturità.

L’estetica bellissima di questa coppia famigliare (la splendida Marion Cotillard è affiancata dalla bella e sorprendentemente brava Ayline Aksoy-Etaix) si scontra dunque con la brutta precarietà della loro vita, affogata tutta in sentimenti mordi e fuggi e in cartoline sempre uguali che sanciscono l’abitudinaria assenza di quella madre troppo bambina per essere madre. Angel Face affronta con grande delicatezza e profondità di sguardo i dialoghi e non dialoghi che avvengono tra Elli e il mondo circostante, ritraendola nel suo essere bambina alla disperata e vana ricerca di punti di riferimento adulti. E quando il film della Filho si concentra sulla sofferta bellezza di questi due volti il film prende decisamente quota.

Nella seconda parte, però, l’opera della Filho muove verso altri fili narrativi, che ancora una volta cercano di individuare e sopperire i tanti vuoti di Elli, pur non riuscendo a raggiungere la stessa profondità di contenuti della prima parte, e il film dirotta un po’ dal suo fuoco narrativo centrale.

In ogni caso, si esce dalla visione di quest’opera con un senso forte di disagio associato in particolar modo al contrasto vivo che si crea tra bellezza e affanno, luminose possibilità e realtà mortificanti, e anche se l’opera non viaggia tutta alla stessa altezza, lo stile della regista e il carisma delle protagoniste riescono comunque a lasciare il loro segno.