Brian e Charles mostra perché amiamo il cinema indipendente

Presentato al Sundance Film Festival e alla 52esima edizione del Giffoni Film Festival, Brian and Charles è una di quelle opere che restano nel cuore. Un po' per la storia e i personaggi, un po' per la delicatezza con cui vengono raccontati. Il cinema indipendente ha la straordinaria capacità, spesso, di superare i confini imposti dallo schermo, andando a sfiorare le corde dell'anima. Brian and Charles è un esempio perfetto in tal senso. Commovente, vero, poetico. Le vicende di Brian (interpretato da David Earl), bizzarro e solitario inventore in un piccolo paesino del Galles, e del suo amico robot Charles (a cui presta la voce Chris Hayward), si sviluppano in circa 90 minuti, durante i quali sono tante, varie e potenti le emozioni suscitate. Sempre in bilico tra ironia e malinconia, tra sorrisi e lacrime, si viene condotti al fianco di questi personaggi semplici, eppure ricchissimi dal punto di vista dei sentimenti e della sensibilità. E pensare che si tratta di un debutto, fa sì che l'effetto sia ancora più forte: sostenuto da un eccezionale script – a cura degli stessi Earl e Hayward – Jim Archer firma la sua prima regia di un lungometraggio e si merita un'attenzione e una stima particolari.

La scelta di impostare il racconto come fosse un documentario in presa diretta funziona, e rende il tutto più accattivante, oltre che originale. Brian si fa quindi portavoce di se stesso, mentre prende per mano, uno a uno, gli spettatori, e li conduce dentro il suo mondo. Un mondo fatto di immaginazione, di invenzioni, di meraviglia, ma anche di solitudine e di bisogni. Emerge così un'empatia naturale e solida nei confronti del protagonista, caratterizzato anche da un ottimismo in apparenza illimitato. Speranza e cocciutaggine lo muovono, corredate da una buona dose di incoscienza e ingenuità. L'arrivo sulla scena del simpatico Charles gli dona una nuova scintilla. Dopo anni trascorsi senza una reale compagnia, se si eccettua quella del topolino chiamato Mr. Williams, ecco qualcuno con cui poter condividere giornate, chiacchiere, esperienze. La musica cambia, in tutti i sensi, non solo metaforico, e colora ogni minuto del loro tempo insieme.

Charles ha i tratti di un bambino e, come tale, necessita di attenzioni, risposte e amore. Cose di cui Brian ne ha in abbondanza. Costretto, in un certo senso, a maturare, e deciso a prendersi cura della sua creatura, l'uomo impara qualcosa in più anche su stesso. Impara a lottare e a non fuggire, scendendo persino a compromessi con i suoi ideali, a mettersi in gioco e a rischiare. E, soprattutto, impara il senso più profondo del concetto di libertà.

Brian and Charles è la storia di una grande amicizia, ma al tempo stesso è una grande lezione di vita. Di quelle meno elaborate e più preziose, che sanno insegnare, emozionare e far riflettere. Il merito va, ovviamente, all'incredibile e assodato trio, dietro la realizzazione della pellicola, adattamento del loro omonimo cortometraggio, che avevano girato nel 2017. Arrichisce qui il parterre attoriale, Louise Brealey, l'amata Molly di Sherlock.

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