Civiltà perduta

I film che iniziano con una sequenza di caccia, attingono a un immaginario maschile primordiale, che faceva parte della quotidianità dei nostri antenati fino a quattromila anni prima di Cristo, prima dell'avvento dell'agricoltura e dell'aratro, in un mondo decisamente più pericoloso e in cui l'aspettativa di vita era in media di ventidue anni. Con l'avvento dell'agricoltura la caccia è rimasta, più che come una necessità di sopravvivenza, come un rituale per ristabilire e rinforzare il legame tra maschi in maniera molto spesso molto formale e organizzata, ma con la forte valenza simbolica fortemente ancorata a livello inconscio. Civiltà perduta, con la sequenza iniziale, ha proprio l'ambizione di stabilire un ponte tra la società inglese del XX secolo e la misteriosa civiltà dell'Amazzonia che è stata la vera ossessione dell'esploratore britannico Percy Fawcett. Nelle società di ricerca archeologica dell'epoca era molto frequente un atteggiamento di superiorità (spesso apertamente razzista) nei confronti delle culture di altri continenti, in particolare di quelle più antiche e sconosciute.

Il tema principale del film è proprio l'apparente separazione tra mondi lontanissimi, che Percy Fawcett ha l'ambizione di colmare con la considerazione di base della comune appartenenza al genere umano, abbandonando ogni pretesa di essere intrinsecamente migliori. Del resto, come afferma il protagonista in una sequenza chiave, se l'Amazzonia è considerato il “deserto verde”, sono davvero dei “selvaggi” gli uomini e le donne che sono state in grado di creare delle coltivazioni in un territorio così inospitale?

La pellicola scritta e diretta da James Gray si svolge nell'arco di un ventennio, dai primi anni del novecento fino al 1925, durante uno dei periodi d'oro delle esplorazioni del Sud America, e racconta di tre esplorazioni effettuate da Fawcett, intervallate da dolorosi ritorni a casa e dalla violenza della prima guerra mondiale. All'inizio si potrebbe pensare che Gray ricerchi delle atmosfere affini a Cuore di Tenebra di Conrad (più presente nel nostro immaginario nell'Apocalypse now di Coppola). I segni più evidenti sono le atmosfere lussureggianti e i dialoghi nella jungla tra uomini civilizzati, che rischiano a ogni istante di ripiombare in qualche barbarie dimenticata, ma Gray sceglie di non percorrere questa strada fino in fondo, come se si ricordasse che il tema non è l'esplorazione dell'animo umano, ma l'esplorazione tout-court. Si ha la sensazione che Gray abbia avuto ben chiaro il tema del film in fase di scrittura, ma che poi si sia lasciato affascinare da altri tipi di conflitti, come il rapporto tra famiglia e ossessione, tra ambizione personale e onore di famiglia, il classico conflitto tra padre e figlio, per non parlare della rivalità tra esploratori. Tutti temi di grande interesse, ma che rischiano di smorzare la forza propulsiva “primordiale” di questa Civiltà Perduta. Se si aggiunge una regia più interessata a documentare che a trovare soluzioni visive insolite, arriviamo a un prodotto di buona qualità, ma che avrebbe potuto essere più ambizioso. Il cast è di sicuro interesse, con Charlie Hunnam, Sienna Miller e Robert Pattinson (la cui folta barba era - purtroppo - uno degli aspetti più discussi del film in fase di preparazione). 

Il film di Gray ha comunque il pregio di aver portato sul grande schermo il prototipo storico dell'esploratore contemporaneo, che traccia un solco di continuità anche nell'immaginario collettivo, dal professor Challenger di Conan Doyle fino allo spielberghiano Indiana Jones.