Come saltano i pesci

Il ventiseienne Matteo vive con il padre Italo (Giorgio Colangeli), la madre Mariella e la sorella minore Giulia, affetta dalla sindrome di down. La sua passione per i motori è grande, così come lo è la speranza di andare un giorno a lavorare a Maranello, configurando il progetto della propria ambizione. In una giornata come tante, però, una telefonata irrompe nella sua vita tranquilla, mettendolo sulle tracce di una donna che non conosce (Anna), sulla strada di una ragazza che forse per la prima volta lo coinvolgerà  emotivamente (Angela) e su quella di un ragazzo a lui molto ‘vicino’ (Luca). Un incidente in cui ha perso la vita una donna, segreti famigliari da tempo custoditi nel silenzio, rapporti persi e ritrovati, relazioni conflittuali mai sedate saranno solo alcuni degli elementi che accompagneranno Matteo in una sorta di viaggio on the road verso il mare, luogo emblematico di liberazione reale ed esistenziale. In compagnia di Giulia, Angela e una sorta di costellazione di personaggi più o meno facenti tutti parte della propria vita, il giovane uomo compirà il tragitto di quella presa di coscienza da sempre propedeutica alla crescita, comprendendo un po’ di più della propria famiglia, del proprio passato e dunque (forse) del proprio futuro.

Dopo il drammatico Radio West e la commedia Chi nasce tondo, Alessandro Valori torna dietro la macchina da presa con Come saltano i pesci, racconto di formazione che sfrutta la triangolazione della struttura a incastri per di-svelare lentamente una storia famigliare di segreti e scoperte, traumi e riconciliazioni. 

Utilizzando un linguaggio che spesso si affranca dai toni drammatici per tendere invece verso un registro quasi surreale, “sospeso”, Valori costruisce su un soggetto interessante e in qualche modo ricco di ‘sentimento’, una storia che si smarrisce quasi subito per l’uso disfunzionale degli incastri, una dialogica spesso troppo ingenua e scontata, e una recitazione non sempre all’altezza (fatta eccezione per il sempre bravo Giorgio Colangeli). Senza contare l’inserimento di siparietti dal registro totalmente avulso dal resto del film (la scena del commissariato in pieno stile gag sceneggiato tv).

Proiettato alla ricerca di un tono ‘alto’, Come saltano i pesci si confonde e smarrisce tra i tanti personaggi messi in campo perdendo ben presto di vista anche i suoi obiettivi narrativi, e inquadrando figure primarie e secondarie senza rispettarne l’ordine di rilevanza. I pesci che nuotano in un mare di smarrimento finiscono per essere troppi, sovrapposti, mal raccordati e mai del tutto spiegati. Il risultato è un racconto corale che nel suo passaggio da soggetto a sceneggiatura dimentica di accordare priorità e coralità, e di raccogliere quindi in maniera funzionale la sua storia di pesci (e umani) spesso e volentieri fuor d’acqua.