Don’t forget to breathe: splendido e intimo gioiello cinematografico di Martin Turk

Presentato in concorso nella sezione Alice nella Città della 14ma Festa del cinema di Roma, Don’t forget to breathe, terzo lungometraggio del regista sloveno Martin Turk, è un prezioso gioiellino cinematografico, uno di quei film che difficilmente andrà a finire nel cassetto del dimenticatoio.

Il quindicenne Klemen (Matija Valant) adora suo fratello maggiore Peter (Tine Ugrin), che reputa un modello da seguire oltre che il suo miglior amico. I due ragazzi, cresciuti da una mamma single, vivono in un piccolo paese di campagna e trascorrono gran parte delle loro giornate estive allenandosi sul campo da tennis. Quando Peter si innamorerà della bella e sensuale Sonja (Klara Kuk), il mondo di Klemen inizierà però a sgretolarsi…

In questo splendido e intimo dramma di formazione, dove i turbamenti del primo amore andranno di pari passo con il doloroso sentimento della gelosia, Turk mostra al pubblico l’inesorabile passaggio dall’infanzia all’adolescenza, e lo fa mettendo poeticamente in scena le forti e contrastanti emozioni proprie di quella importante fase che è la crescita. In un’atmosfera quasi rarefatta, in cui il tempo sembra seguire il lento ma perpetuo canto dei grilli e il respiro del vento tra le foglie, Klemen vorrebbe che nulla cambiasse nella sua stabile esistenza. Eppure, suo malgrado, la vita è come il fiume qui inquadrato a più riprese dalla macchina da presa: tutto scorre, niente rimane così com’è o come vorremmo che restasse. Sì, perché il processo tanto inarrestabile quanto irreversibile a cui allude Turk lo si potrebbe racchiudere nel Panta Rei degli antichi greci, ossia in quel mutamento continuo che ineluttabilmente trasforma noi stessi e l’universo che ci circonda.

Confuso dallo svanire delle proprie certezze, ma al contempo affascinato da nuove percezioni finora a lui sconosciute, Klemen si sentirà attanagliato da un senso di profonda inquietudine che lo porterà a compiere azioni avventate e pericolose. Ma nel difficile varco da superare per entrare a far quasi parte del mondo degli adulti, chi di noi non è stato artefice di atti sconsiderati o in preda a pensieri disordinati e tumultuosi? Martin Turk dimostra di sapere bene la risposta a tale domanda, tanto che l’empatia che si creerà tra il protagonista e gli spettatori sarà magnifica e totale. A far da contraltare a quei conflitti che sottolineano la vulnerabilità della giovinezza, il cineasta sloveno - triestino di nascita -, sceglie di inserire sapientemente una figura super partes che ristabilirà il giusto equilibrio in una realtà tutta adolescenziale: la Natura, personificazione atemporale e tranquillizzante del respiro della Terra e, quindi, dell’essere umano.

Accompagnato da una toccante e delicata colonna sonora a firma Teho Teardo, e coadiuvato dalla bellissima fotografia di Radislav Jovanov, l’occhio raffinato di Turk, qui anche sceneggiatore, si muove come in una danza malinconica attorno al volto di Kelmer e ai gesti dei suoi compagni di avventura, che sembrano non percepire il suo struggente affanno causato da una metamorfosi in divenire. “Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell’impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va”, Eraclito.