Dopo la guerra: La memoria che ancora fa troppo male

Non è impresa facile oggi, nonostante i “modi terroristici” siano stati completamente sconvolti, costruire un racconto su una Storia di cui portiamo ancora le ferite. Una storia che, periodicamente e purtroppo, ancora si ripete. Annarita Zambrano, alla sua prima opera lunga, mischia elementi reali (l'omicidio del giusvalorista Biagi a Bologna da parte delle Nuove Brigate Rosse; la questione sull'estradizione degli ex-terroristi che fa tornare alla mente l'infinita fuga di Cesare Battisti) senza mai citarne i veri nomi e inserisce il tutto in un'aria da tragedia greca dove i personaggi diventano quasi archetipi. E dove, il rapporto padre-figlia, le colpe di un passato drammatico che coinvolgono chi quel passato non lo ha neanche conosciuto, la coerenza con ideali già vecchi appena nati e l'incoerenza quando la paura di essere processati (loro che sono stati autori di processi sommari fatti con la pistola in mano) prende il sopravvento, sono rappresentati in maniera che sembra fin troppo acritica.

E forse, è questo il difetto più grande del film della Zambrano, perché se la scelta di campo della neutralità è assolutamente legittima, è anche vero che quella stessa scelta porta tutto il discorso su una cerebralità che poco ha a che fare con tutto quello che è realmente successo. E quelle figure-simbolo di cui abbiamo detto sopra diventano fredde rappresentazioni di qualcosa che ancora dovrebbe commuovere e, qui, non lo fa.

Bravi tutti gli interpreti e brava anche la regista a dare, perlomeno, un senso di cupezza che si sente pesante ma quei personaggi che sono più schema che vita lasciano un po' l'amaro in bocca. Purtroppo il sangue è ancora caldo per un'analisi cosi algida.

R.M.