Dune: L’ennesima sfida di Denis Villeneuve

Sabbia e faville, petrolio corposo e grevi strutture di cemento armato, musica faticosa che si addensa tra agglomerati oscuri, scorre limacciosa in tunnel sotterranei, si insinua tra dune e vermi lunghi fino a 400 metri… Denis Villeneuve rilegge Herbert senza sfrondare nulla della densa atmosfera del libro, restituendoci un prodotto gravido e ridondante fino allo sfinimento. Ma, nulla di diverso ci saremmo aspettati dal regista canadese. La sua cifra stilistica è questa. Lo spirituale sull’azione, l’introspezione sugli accadimenti, il che, per un’opera come Dune ha una sua ragione di essere. Sempre che si abbia la pazienza - e la volontà - di sostenere oltre due ore di un cinema interiore applicato ad una saga di fantascienza. Insomma, se si è consapevole di ciò, la visione del Dune di Villeneuve, ( la specificazione è d’obbligo c’è,  infatti il  Dune - quello più celebre - di David Lynch, c’è poi una serie tv degli anni 2000 e c’è, infine, il Dune  di Alejandro Jodorowsky , il film che nessuno ha mai visto, la storia di come quel film sia stato programmato e mai sia stato girato, l’opera più immane e sensazionale tra quelle mai realizzate…) può risultare preziosa e accattivante e le vicende che si raccontano più simboliche e significanti che mai e figlia del romanzo che si rappresenta.

Dune, di Frank Herbert, 12 milioni di copie vendute, record per una pubblicazione di fantascienza,  sei romanzi scritti tra il 1965 e il 1985,  ha di fatto influenzato tutte le più importanti successive opere fantasy, a partire dal ciclo di Guerre Stellari per finire alla serie dei romanzi di Il trono di spade.

Basti pensare all’Istituzione dell’Impero accentratore di un potere allo stesso tempo solido e impalpabile, delle Case Nobili in conflitto/sottomissione con esso, alla guerra di potere tra le stesse, alla presenza di un altro potere, soprannaturale e velato che muove i fili, dietro le quinte, di un piano i cui confini trascendono lo spazio e il tempo delle vite di generazioni di generazioni. Insomma, Dune ha fatto scuola e, ad accostarsi ad  esso, e le vicende produttive sia di Lynch che di Jodorowsky ne sono una testimonianza, ci si può scottare.

E’ un po’ come la tesi di laurea di una carriera accademica. Se Denis Villeneuve – che è abituato a sfide complesse, dopo essersi con un’altra impresa titanica come  il sequel di Blade Runner… - abbia superato l’esame a pieni voti, lo dirà il botteghino. Certo, questa volta, la produzione sembra essere dalla sua parte. A cominciare dai  cosceneggiatori messigli a disposizione (Eric Roth e Jon Spaihts) per finire alla schiera di interpreti che arricchiscono il cast. A partire  dal venticinquenne Timothée Chalamet, ombroso e denso, che dopo Interstellar ritroviamo in un altro kolossal di fantascienza, la svedese Rebecca Ferguson dal respiro internazionale, il fascino selvaggio di  Zendaya e calibri come Josh Brolin, Stellan Skarsgård, Jason Momoa, Javier Bardem e, addirittura Charlotte Rampling. Tutte maschere su un palcoscenico sul quale aleggia l’attesa e la profezia di un evento imminente, una rivelazione, un’epifania, che cambierà le sorti dell’universo conosciuto.

Ma per sapere come e se, dovremo aspettare l’uscita della seconda parte, le cui riprese, però, devono ancora iniziare…

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