Festa del Cinema di Roma: A prayer before dawn, un dramma carcerario esemplare, alimentato da una violenza che mette al tappeto

Ispirato alla storia vera di Billy Moore, pugile tossicodipendente finito a scontare una pena di tre anni nelle durissime prigioni della Thailandia, A prayer before dawn (una preghiera prima dell’alba) marca da vicino, o meglio vicinissimo, il tunnel d’orrore imbucato da questo ragazzo inglese di Liverpool all’indomani della sua incarcerazione (nella terribile Kong Prem Central Prison di Bangkok). Tossicodipendenza da eroina, abusi, violenze fisiche e psicologiche rappresentano di conseguenza la materia prima di quella che sarà, in quel periodo di reclusione, la vita - o meglio la sopravvivenza, di Moore. Una storia dalla tragicità ante litteram dove, per paradosso, per sopravvivere a una violenza certa l’unica via di fuga è rappresentata da una violenza ancora più certa. Moore sfrutterà infatti il suo talento da boxeur per sopravvivere a un contesto infernale, guadagnandosi una certa ‘stima’ nel giro e delle ‘condizioni’ meno aberranti grazie agli incontri vinti sul ring del Muay Thai (boxe tailandese), e in attesa di una (sua) possibile alba.

Da una storia tragica un film dove la violenza (psicologica, reale, partecipata) riesce letteralmente a mandare al tappeto lo spettatore. Ma non c’è nulla di retorico, ridondante, o forzato nello sguardo che il regista francese Jean-Stéphane Sauvaire impone alla sua opera; uno sguardo di una crudezza che non esce mai dall’ombra, che si muove nel buio perenne delle violenza, della solitudine, del senso di ‘soffocamento’, e che quando intravede la luce lo fa solo tramite un flebile riverbero, un secondo di sorriso in due ore piene di tormenti e torture. Le ricorrenti inquadrature sul tripudio di corpi nudi, corpi “vestiti” di tatuaggi, corpi aggrovigliati e sanguinanti, volti segnati, rispecchiano d’altronde il buio umano e avvolgente del film, quel senso di disperazione che marca stretto il protagonista e che lo spinge verso la violenza del ring pur di sopperire alla violenza ancora più profonda, radicata e letale della vita di carcere. Il bravissimo Joe Cole interiorizza ogni singola cicatrice, lesione del proprio viaggio all’inferno, aiutato da un lavoro in sottrazione che centellina le parole ma riversa fuori l’emozionalità spaesata, annichilita e sempre più repressa di questo giovane alla ricerca disperata di qualcosa, o qualcuno a cui aggrapparsi, che sia la ladyboy Fame o la boxe poco importa. Raggranellando sigarette da usare come unico mezzo di baratto per raggiungere i propri obiettivi, Moore riuscirà a districarsi nella melma più sudicia, a riguadagnare quel poco di vantaggio che la vita gli aveva sempre negato.

Film di una crudezza esemplare girato in un vero carcere thailandese e con un cast costituito in gran parte da veri carcerati, A prayer before dawn rievoca un realismo doloroso, a tratti quasi intollerabile, e trascina l’occhio dello spettatore tra deiezioni, sangue e corpi abusati all’interno di un circolo vizioso e inarrestabile di violenze perpetrate e subite. Allievo di Gaspar Noè, Jean-Stéphane Sauvaire realizza con A prayer before dawn un’opera seconda lancinante, difficile da guardare, quasi impossibile da metabolizzare, animando un’atmosfera di incubi reali che si fatica ad osservare, e dai quali si vorrebbe, invece, solo fuggire. Una storia terribile narrata con disarmante talento.