Festa del Cinema di Roma: Abracadabra, il bulimico caos filmico di Pablo Berger

Partendo a volo d’uccello su grigi palazzoni simili a formicai svettanti ai lati di una superstrada, l’occhio della cinepresa si ferma su un piccolo e anonimo appartamento dove un uomo, tra birre e improperi, è intento a guardare una partita di calcio in Tv. Questa prima sequenza d’apertura del terzo lungometraggio di Pablo Berger potrebbe tranquillamente appartenere a quel filone cinematografico interessato alla realtà sociale di certe periferie delle grandi metropoli. Nulla di più errato, perché in men che non si dica il regista spagnolo introdurrà lo spettatore in un universo grottesco, barocco e tutt’altro che reale. Presentato nella selezione ufficiale alla XII° Festa del Cinema di Roma, Abracadabra è una commedia che passa repentinamente dal comico al fantastico e dal thriller al surreale: un frullatore riempito con ingredienti diversi che gira a folle velocità.

Carmen, casalinga frustrata e insoddisfatta, vive nell’hinterland madrileno con la figlia adolescente e il marito Carlos, essere insensibile e aggressivo. Un giorno, a causa di un numero di ipnotismo eseguito durante un ricevimento nuziale, il carattere burbero e sopraffattore di Carlos subirà un notevole cambiamento, e il lupo diverrà agnello. Ma se all’inizio questa trasformazione renderà Carmen una donna felice, col passare delle settimane qualcosa comincerà a turbarla...

A distanza di 5 anni da Blancanieves, film muto in bianco e nero vincitore di ben 10 Premi Goya, il cineasta basco, non riuscendo purtroppo a trovare il giusto equilibrio tra il mix di generi da lui prescelti, realizza una pellicola rischiosa in cui schizofrenia narrativa, opulenza visiva, allegoria onirica e battute non sempre brillanti renderanno la visione indigesta a una discreta fetta di pubblico. Ma è proprio grazie a questo bizzarro inseguirsi di registri stilistici - dove è impossibile non notare somiglianze con i lavori prima maniera di Pedro Almodóvar o con quelli di Alex de la Iglesia - che Pablo Berger costruisce un’opera che proprio del ‘sopra le righe’ fa virtù. Sì, perché tra citazioni (Odissea nello spazio, L’esorcista, La febbre del sabato sera e La maledizione dello scorpione di Giada, tanto per ricordarne alcune), personaggi eccessivi e situazioni paradossali, l’autore di Bilbao dimostra quanto la bulimia sia talvolta più efficace dell’anoressia: tra scimmie assassine e agenti immobiliari degni dei migliori horror, Abracadabra procede a ritmo vertiginoso verso una sorta di caos filmico divertente, metafisico e irriverente.

Non contento però di rappresentare solo il ‘fantastico’ fine a se stesso, Berger lo utilizza anche per esplorare un tema ben più complesso, quello della condizione psicologica in cui si trovano molte donne oppresse dal machismo… e qui il film perde purtroppo la bussola infrangendosi in contorte e nebulose metafore. Maribel Verdù e Antonio de la Torre, nel cast affiancati da José Mota e José Maria Pou, se la cavano egregiamente nel tenere ben salde le redini di un prodotto che ricorda le bizze di un cavallo impazzito.

Tre, due, uno… Abracadabra, che l’incantesimo abbia inizio. Ma non per tutti!