Festival di Berlino: Dalla Romania con… amor(i) interrotti

Presso la facoltà di letteratura di Bucarest Toma incontra Ana ed è subito amore. Ma se Toma ha un passato piuttosto sereno e una solida famiglia alle spalle, Ana è invece vittima di un trascorso misterioso e turbolento che le crea improvvisi e frequenti attacchi di panico, e che da anni la costringe alla dipendenza da psicofarmaci. Toma, innamoratissimo, si getta a capofitto nella relazione ignorando (o meglio provando a superare) le paure e i disagi della sua Ana. Più tardi, nasce anche il frutto del loro amore. Poi, all’indomani di un quasi decennio trascorso insieme, il quadro cambia, e la situazione pare ribaltata. Ora Ana è una donna e madre di successo, mentre Toma sembra aver smarrito la lucidità che possedeva un tempo. Il loro amore è a quel punto mutato, rivoluzionato, ricondizionato da molte svolte, mentre loro stessi, un tempo protagonisti di quel sentimento, sono ora testimoni impotenti di un ultimo, dirompente cul-de-sac del cuore.

Non avevamo dubbi. Presentato in concorso alla Berlinale 2017 nell’ultima giornata di cartellone, con una coproduzione tra Romania, Germania e Russia, il titolo Ana, mon amour firmato dal regista Calin Peter Netzer non delude. Anzi, è forse uno dei film migliori transitati per la categoria principale. L’estrema lucidità che abbiamo visto appartenere di recente al nuovo cinema rumeno, viene qui infatti riconfermata in una declinazione da dramma amoroso che non si ferma, però, a tratteggiare solo la fine di un amore (tematica di recente affrontata anche dal bellissimo Dopo l’amore francese), ma tira in ballo nell’economia del racconto anche una serie di tematiche legate alle filosofia, alla religione, alla società, e alla psicanalisi.

La fragilità mentale generata da un passato di ‘sofferenze’, il tentativo di interrompere la catena viziosa del ‘malessere’, e il ribaltamento totale della condizione di partenza, innesca infatti un interessante gioco di riflessioni e teoremi sugli amori e più in generale legami, su ciò che li genera, su ciò che è capace di distruggerli. Il quarantunenne rumeno Calin Peter Netzer crea un varco reale (tanto formale quanto temporale) sulla via crucis amorosa di questa coppia, e che include la passione di Toma per Ana, e la fragilità di Ana e della sua voglia di riscatto.

La dilatazione temporale delle scene che hanno sempre un respiro ampio, la carnalità del racconto (che non omette nulla dei corpi, delle smagliature, di quei piccoli particolari che danno senso alle cose) e la bravura dei due protagonisti, anima il racconto di questo amore ‘interrotto’ rendendolo unico, vicino, condivisibile, partecipabile. Un realismo che genera un’adesione necessaria e che è poi raccordato attraverso una scansione temporale che ‘disperde’ la cronologia dei momenti per riallinearla invece attraverso una nuova linea di senso e di contrapposizione. I momenti del prima e quelli del dopo. Lo stato dell’amore e lo stato dell’amore smarrito.

Esattamente come accadeva nel cinema rumeno che abbiamo apprezzato in queste ultime primavere, Calin Peter Netzer prende un soggetto e lo ‘viviseziona’ letteralmente da capo a piedi, segmentando il senso della storia e operando attraverso i flussi dell’emozione. Un’emozione che monta lentamente (come nelle opere migliori) e lungo tutto il tragitto del film, e che poi esplode a ridosso del finale. Un finale intenso, preciso, e toccante che chiude e racchiude la lucidità di questo film.