Funny face: il grande cinema indipendente al 38esimo Torino Film Festival

Le stanze di Rol” è stata senza dubbio una delle sorprese di questa 38esima edizione del Torino Film Festival, tutta esclusivamente online. Dalla sezione sono uscite opere di grande impatto, visivo ma anche narrativo, quali The Dark and the wicked e Antidisturbios. Funny face ne è un ulteriore esempio. Tim Sutton si muove agile nel terreno del cinema indipendente, del quale confeziona uno dei suoi migliori titoli.

Zama (Dela Meskienyar) vive con gli zii, ma la convivenza non è delle più semplici, poiché la vorrebbero una musulmana ligia ai suoi doveri. Saul (Cosmo Jarvis, protagonista anche di The Evening Hour) sta invece coi nonni, in procinto di essere cacciati per le mire espansionistiche di un magnate dell'industria (Johnny Lee Miller). 

Chi in un verso chi nell'altro, i due protagonisti sono giovani alla ricerca di stabilità. Costretti loro malgrado a (giro)vagare per le strade della città, trovano nella rispettiva compagnia un senso a un'esistenza forse troppo pesante. Lei ha perso i genitori e l'unica cosa che sembra ridonarle un minimo di pace è la danza; lui è in lotta contro chi sta per sfrattarlo dalla casa in cui è cresciuto. Dapprima con diffidenza, poi via via in maniera sempre più naturale, Zama e Saul impareranno a conoscersi, o meglio a riconoscersi, a fidarsi e a fare affidamento, trovando così un sostegno fondamentale e prezioso. La maschera, che è un po' il tratto distintivo (e disturbante) di Funny face, interviene a trasmettere messaggi subliminali. Già il fatto che in apertura piova dal cielo e sul finale si ritrovi tra le mani del “cattivo” potrebbe indicare una sorta di chiusura del cerchio e/o di resa dei conti.

Questo sviluppo in continuo movimento fa talvolta pensare a film come Prima dell'alba, complice anche qualche inquadratura in particolari momenti del giorno. Nel corso di 24 ore o poco più, la coppia protagonista scopre non solo l'amore, ma un sentimento che ha a che fare con la sensazione di essere al sicuro, protetto, compreso e apprezzato per chi si è realmente.

Coney Island costituisce una cornice incredibilmente poetica. L'inconfondibile skyline è pregno di quel romanticismo in divenire che contraddistingue il rapporto di Zama e Saul, venato al tempo stesso di uno spirito nostalgico e malinconico.

Tutto ruota intorno ai soldi, ai debiti, alla ricchezza. Il denaro è ciò che spinge i grandi imprenditori a radere al suolo interi quartieri, poco interessati alla sorte di chi ci vive, e soprattutto alle conseguenze dei loro atti. Saul mediterà la vendetta, ma il gesto potrebbe portarlo su una via da cui non c'è scampo. Il carattere del ragazzo alterna attimi di rabbia ad attimi di infinita dolcezza, come nella scena con il bambino sui così chiamati stoops. Dal canto suo invece Zama è attenta a non sprecare, ben consapevole di cosa significhi vivere di stenti.

Sutton dissemina qui e là dettagli che colorano la narrazione – modellini di James Dean, insegne luminose, cronache sportive alla radio – rendendola in qualche modo originale, unica, pregevole. A tal proposito non si può prescindere dall'utilizzo della musica, con questo ritmo cadenzato che si ripete e che si modifica in base a quanto accade nella storia: martellante in principio, morbido e armonico al centro.

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