Hitchcock/Truffaut

Kent Jones prende in mano la Bibbia del Cinema scritta da François Truffaut e cerca di trovare il principio d’intelligibilità alla base stessa del canone Hitchcockiano. Vi riesce, operando sulle ambiguità e sulle latenze delle inquadrature di quello che è passato alla storia come il Maestro della Suspense, un autore che ha sempre puntato al coinvolgimento emotivo del pubblico. Se non ci fossero stati i critici dei Cahiers du Cinema capeggiati da Truffaut, il regista inglese trapiantato a Hollywood sarebbe ancora relegato tra i mestieranti del cinema di genere. Furono proprio i ragazzi cresciuti all’ombra di André Bazin a togliere Hitchcock dal cono d’ombra di un cinema inteso come prodotto industriale, celebrandolo come loro punto di riferimento e vate inarrivabile. 

Con un atto di sentita devozione, Jones si sofferma sulle cosiddette strutture intenzionali di secondo grado di dieci film hitchcockiani, portando alla luce il rapporto intercorso tra le immagini e il loro artefice. Esaminando le inquadrature estratte da capolavori indiscussi come Notorious, La donna che visse due volte, Psycho e molti altri ancora subito ci giunge la risposta alla domanda “Una pellicola può essere definita un testo?”. 

Assolutamente sì. Lo è quando si avverte la costruzione geometrica del fotogramma applicata con spirito da vero maniaco del controllo già prima del ciak delle riprese, poiché tutto è già previsto nelle pagine dello story board. Lo è nel momento in cui emerge il rigore tecnico di chi non si lascia mai assorbire dalle compiacenti sirene dell’improvvisazione, né da divi con velleità artistiche. E, come può non esserlo laddove la cristallizzazione dei dettagli dà vita a un realismo stilizzato in cui un singolo oggetto diviene il fulcro nevralgico di un intero intreccio?    

La scelta di inserire nel documentario i commenti di registi famosi è sicuramente molto interessante. Uomini di cinema come Martin Scorsese, Arnaud Desplechin, David Fincher, Richard Linklater, Wes Anderson, James Gray, Olivier Assayas, Kiyoshi Kurosawa, Peter Bogdanovich e Paul Schrader spiegano all’occhio della macchina da presa come Hitchcock li abbia avvicinati alla settima arte. È bello ascoltare da chi per lavoro immortala volti e spazi sulla celluloide quanto sia stata importante la lezione che Hitchcock ha lasciato ai posteri sulla manipolazione del tempo, comprimendo o dilatando illusoriamente una sequenza. 

Ma, Hitchcock/Truffaut parla anche della nascita di un legame speciale tra due registi distanti anni luce, un’amicizia che si protrasse fino alla morte di Hitchcock nel 1980. La stima che l’uno provava nei confronti dell’altro era tale che si scrissero per circa venti anni, inviandosi le reciproche sceneggiature. Inoltre, Truffaut non mancava mai di organizzare cene di gala in onore dell’amico, ogni qual volta Hitchcock si trovava in visita a Parigi con il resto della famiglia.  

Hitchcock/Truffaut “fa vedere” come l’analisi di un film si possa trasformare in un’arte e quanta passione ci sia in una riflessione ad ampio spettro sull’orizzonte intertestuale della ricerca.