Il diritto di contare: intelligenza e tenacia Vs. razzismo e mediocrità

Il 1961 fu un anno importante. Stati Uniti e Unione Sovietica erano in piena Guerra Fredda, e i progressi spaziali, interpretati come un indicatore delle capacità economiche e tecnologiche, servivano a dimostrare la superiorità di una delle due nazioni nei confronti dell'altra. John F. Kennedy inaugurava la sua presidenza e, volendo confermare la supremazia americana su quella russa, incrementò i fondi destinati alla Nasa: lo smacco inflitto da Yuri Gagarin bruciava davvero troppo. In quell’epoca dove vigeva ancora la segregazione razziale - c'erano, tra l'altro, bagni per i ‘bianchi’ e quelli per persone di colore, così come posti a sedere separati negli autobus -, il lavoro e la determinazione di tre giovani matematiche afroamericane contribuirono a portare il primo statunitense a orbitare con successo attorno alla Terra: John Glenn. Il diritto di contare (titolo originale Hidden Figures) narra la vera storia di quelle tre donne di colore che, grazie a talento e caparbietà, meritarono il rispetto di quanti le avevano sempre disprezzate.

Tratto dall’omonimo romanzo di Margot Lee Shetterly, il film diretto e co-sceneggiato da Theodore Melfi è scorrevole, ben fatto, brillante e mai noioso. Il maggior pregio di quest’opera sta decisamente nell’aver raccontato una vicenda a molti sconosciuta: i nomi Katherine G. Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson non sono infatti mai citati a scuola, né tantomeno compaiono nei libri di storia, eppure… Eppure dovrebbero! L’essere nate femmine, e per di più nere, non aiutò di certo le protagoniste a farsi strada all’interno della Nasa, un mondo di uomini bianchi, in gran parte razzisti. Con un tema come quello della negazione dei diritti umani, scivolare nel melodramma sarebbe stato semplice. Ma, per far breccia nel cuore degli spettatori il regista di Brooklyn evita di incagliarsi nella rete della ‘lacrima facile’ e, seguendo con abilità la strada della commedia, mette magistralmente in scena la lotta per l’uguaglianza e la parità tra individui di qualsiasi sesso, razza o religione.

Hidden Figures - gioco di parole che volutamente esprime un dualismo logico in cui da un lato le ‘Figures’ rappresentano coloro che hanno combattuto per uscire dall’oblio imposto loro dal sesso e dal colore della pelle, e dall’altro i numeri matematici che stanno dietro le loro brillanti scoperte –, nonostante un pizzico di retorica e qualche cliché di troppo, raggiunge l’obiettivo di divertire, commuovere e far riflettere il pubblico sull’importante messaggio di speranza e solidarietà che traspare da tutti i 127 minuti di proiezione. L’alchimia tra le tre straordinarie attrici, Taraji P. Henson, Octavia Spencer e Janelle Monáe, contribuisce non poco alla buona riuscita del film, come pure l’ottima prova di Kevin Kostner. L’atmosfera degli anni 60 è poi il fiore all’occhiello dell’opera: automobili, abbigliamento e brani di musica jazz trasportano lo spettatore in un periodo tanto colorato ed emozionante, quanto terribile e vergognoso.

Rimasto a bocca asciutta alla notte degli Oscar, Il diritto di contare funziona assai bene, e non sarà certo una mancata statuetta a sottrargli il successo che merita... soprattutto con l’aria che tira in quel della Casa Bianca!