Il medico di campagna

Il freddo, la neve e le tempeste notturne sono piccoli impedimenti superabili, per chi la professione del medico la ha nel cuore: di fronte all’abnegazione di certi dottori nei confronti dei loro pazienti, perfino la propria malattia diventa a volte un'inezia. In una società come quella attuale, dove gli ammalati vengono spesso lasciati al proprio destino su malconce barelle in squallide sale d’attesa, scoprire l’umanità che ancora alberga in alcuni uomini non può che far bene all’animo. Con tocco delicato, e senza sbavature, la terza prova registica di Thomas Lilti racconta la storia di una categoria in via d’estinzione: quella dei medici di campagna e del loro struggente altruismo.

Il personaggio di Jean-Pierre, un medico della provincia rurale della Francia del sud che scopre di avere un tumore, è il fulcro su cui ruota quell’opera semplice e affascinante che è Il medico di campagna. Il regista francese, dopo aver diretto Hippocrate nel 2014, torna a trattare un argomento a lui molto caro: oltre ad essere un cineasta, Lilti è stato infatti a lungo un dottore di paese. Ciò che colpisce nel film, decisamente ben riuscito, è l'immediata empatia che si stabilisce con il protagonista. Sì, perché grazie alle numerose scene riprese con la camera a mano, e ai tanti primi piani che enfatizzano sia la dolcezza che la paura nello sguardo di Jean-Pierre, il cineasta quarantenne riesce a rendere ancor più reale una storia portatrice di forti emozioni. Emozioni mai urlate, però, né sbattute in faccia, ma presenti per l’intera durata della proiezione: la poesia della ritrovata umanità, eccolo il vero motore del film!

Lilti, dimostrando come, per catturare l’attenzione del pubblico, non vi sia bisogno di ricorrere a dialoghi o immagini strappalacrime, realizza un lavoro minimalista di grande impatto emotivo. Puntando il dito verso chi è incapace di ascoltare l'ormai flebile voce di un malato, e non soltanto attraverso l’udito, il filmaker rivolge anche una dura accusa al disumano sistema sanitario che ha trasformato le persone in numeri. Nel film tutto torna, nulla stride: la splendida fotografia che dona un’atmosfera di bucolica tranquillità; la colonna sonora mai invadente; l'impeccabile sceneggiatura; la pacata, ma incisiva regia; il cast magistrale, che vede François Cluzet in pieno stato di grazia. Tutti questi elementi, incastrandosi tra loro a perfezione, compongono un vero gioiellino cinematografico che, presentandosi senza troppe pretese, risulta ancora più gradito.

Il giuramento di Ippocrate è cosa seria, anche se - al giorno d’oggi - più di qualcuno pare averlo scordato!