Il Primo Re - Tremate, questa è Roma!

Operazione ambiziosa quella di Matteo Rovere, con la collaborazione di Groenlandia e Rai Cinema, di produrre, scrivere e dirigere un film che punta a coniugare cultura e azione, strizzando l’occhio a quel cinema di cui Mel Gibson, con film quali Apocalypto e La Passione è stato negli ultimi dieci anni, un precursore e un illustre rappresentante.

Diciamo subito che l’impresa è riuscita a pieno.

Sin dalla prima convulsa sequenza del  Dio fiume che con violenza sgorga e furoreggia creando quella che sarà la terra sulla quale l’Urbe sarà edificata, si ha la certezza di trovarsi in un’opera la cui produzione mira ad un mercato internazionale che non sia solo quello di un ristretto ambito locale. Lo stesso dicasi per l’accurata ricostruzione dei luoghi e delle ambientazioni che denota una accurata ricerca, dove nulla è lasciato al caso.

Quello che però maggiormente ci ha colpito è l’intento culturale e filologico che sorregge l’opera. Dalla coraggiosa scelta di utilizzare una lingua “protolatina”, in parte ricostruita con le fonti storiche dell’epoca, in parte artificiosamente integrata con termini indoeuropei, alla rilettura del mito di Romolo e Remo che conduce ad una riflessione filosofica nuova e decisamente accattivante. Il conflitto tra i due gemelli assume dimensioni che travalicano il peculiare contingente familiare, ma diviene uno scontro di visioni e concezioni del mondo e della società: il pragmatico Remo, materialista e laico (se vogliamo affibbiargli categorie moderne) contro lo spirituale Romolo, legato alla terra e alle tradizioni,  e dal sacro terrore delle divinità. Ed è in questa dicotomia, che suggestioni ancestrali e divinità primordiali hanno il sopravvento sulle vicende dei comuni mortali.  E nella sintesi, dolorosa e tragica, paradigmaticamente, avrà i suoi natali la città che il mondo farà tremare, Roma.

L’intento culturale e scientifico del film, è anche ben testimoniato dall’accurata ricerca dei luoghi dove è stato girato (riconosciamo noi romani, la vegetazioni e le rocce, il colore della terra e le piane verdi e gialle) e nella selezione del cast: le facce e i fisici sono quelli giusti, visi e corpi storti e angolati , proprio come ci saremmo aspettati, a parte le fattezze dei Divi (Romolo e Remo) a cui prestano le loro divine fattezze gli attori Alessandro Borghi e Alessio Lapice.

Il film, in definitiva, è anche un omaggio alla città alla quale generazioni di registi hanno guardato con occhio ora critico, ora disilluso, ora onirico e trasognante, ora tragico e doloroso, sempre però ben consci del profondo segno che su di essi ha operato, quasi come il sacro solco scavato da Romolo  quel 21 aprile del 753 a.C..