Il Ragno Rosso e la misteriosa fascinazione del male

A invadere il campo anglosassone, o americano, della cinematografia dedicata ai serial killer, arriva una perla polacca che, come un fulmine a ciel sereno, regalerà al pubblico uno spettacolo tanto minaccioso quanto accattivante. Scritto, diretto e montato dal direttore della fotografia e documentarista Marcin Koszalka, qui al suo esordio dietro la macchina da presa in un lungometraggio di finzione, Il Ragno Rosso non è infatti paragonabile a nessun altro film dello stesso genere: un’opera innovativa distante anni luce dai canoni hollywoodiani.

Siamo in Polonia a fine anni Sessanta, e più precisamente a Cracovia, quando il giovane Karol, un tuffatore di successo, scopre il cadavere di un bambino nei pressi di un Luna Park. Incuriosito da un uomo misterioso che ha appena visto allontanarsi dal luogo del ritrovamento, e convinto che si tratti del ‘ragno rosso’, il terribile omicida seriale che sta terrorizzando il Paese, il ragazzo decide di seguirlo…

Ispirato da un assassino, quel Karol Kot soprannominato 'il vampiro di Cracovia' realmente esistito durante gli anni del comunismo sovietico in Polonia, e dal mitico ‘red spider’- mitico in quanto, nonostante intere pagine sul web a lui dedicate, non vi sono prove certe della sua esistenza -, il regista polacco si allontana dalla verità storica per tessere una suggestiva narrazione intorno alla fascinazione del male e alla sua incerta origine. Senza fornire risposte sicure, Koszalka si interroga sia sulla natura della perversione, che su quella labile linea di confine dalla quale, una volta superata, è impossibile tornare indietro. Il Ragno Rosso non è dunque un comune thriller con investigazioni e corpi dilaniati a farla da padroni: è l’opposto. L’idea di tenere fuori campo le scene degli omicidi - far intuire cioè quel che accade senza dar spazio alla morbosità - per concentrarsi invece sulla psicologia dei due protagonisti, è una strada interessante percorsa dal cineasta con estreme lucidità e maestria.

Ma, in questo gioiellino filmico, ciò che più colpisce è la cupa e opprimente atmosfera in cui i personaggi si muovono. Palazzoni grigi e fatiscenti, quasi totale assenza di luce diurna e colori monocromi degli indumenti rispecchiano infatti la quotidianità del popolo polacco di cinquant’anni fa: vite espropriate della loro individualità. Ed è forse in questo contesto che si potrebbe trovare una delle tante risposte lasciate in sospeso. Sì, perché Koszalka mette magistralmente in scena l’ossessione repressa del volere ‘essere qualcuno’ in una società in cui vige l’omologazione, dove, se Karol è ben conscio di essere un grande campione sportivo, è altrettanto certo che al di fuori della sua Nazione resterà per sempre ignoto. Ma ecco il destino giungere puntuale ad offrirgli una chance per emergere dal triste anonimato a cui è destinato: un tuffo perfetto, attratto da acque torbide a lui finora sconosciute.

Girato con stile asciutto e di forte impatto visivo (soltanto la ripresa dall’alto sulla scogliera e la conseguente illusione ottica meriterebbero il prezzo del biglietto), impeccabilmente diretto e recitato, Il Ragno Rosso farà di sicuro storcere il naso agli amanti dell’Hollywood Style, ma, per fortuna… esistono anche registi non ancora ‘omologati’.