Il viaggio di Norm

Il viaggio di Norm di Trevor Wall è una favola ecologista, un disegno animato educativo che vorrebbe civilizzare i più piccoli al rispetto dell’Artide. La formula sarebbe però inefficace, se accanto al fine formativo non ci fossero una buona grafica, tante gags e umorismo. Insomma, lo “stretto indispensabile” è assicurato. 

Certo, siamo lontani dall’animazione targata Pixar, ma il rapporto naturale fra la figura e l’ambiente spaziale in cui si colloca appare coerente, senza che si creino problemi d’integrazione con lo sfondo disegnato. Il contrasto tra il bianco abbacinante che contraddistingue il Circolo Polare Artico e le tinte sfavillanti di New York non suscita mai l’impressione di un contrasto netto dai risultati poco felici, cosicché lo stacco appare assolutamente accettabile. 

Il team ha dimostrato una certa abilità nella raffigurazione di animali antropomorfi e nel dare spessore ai vari personaggi, soprattutto al protagonista. Norm è rappresentato come un tenero White Teddy Bear del tutto inoffensivo, impantanato in una situazione che lo rende facile bersaglio di commenti ironici da parte dei suoi simili. Inizialmente, la storia potrebbe sembrare debitrice a Happy Feet (2006), dove al posto di un orso che non sa cacciare abbiamo un pinguino imperatore dedito alla danza e, per questo motivo, viene malvisto dalla sua stessa comunità finché non si riscatta alla grande. A parte l’opposto emisfero in cui gravitano i due differenti eroi, Norm riesce a imporsi e a scoprire il suo posto nel mondo, nel momento esatto in cui mette la sua dote al servizio di una causa più importante. Una curiosità: anche l’orso polare si diletta nel balletto, tanto da aver inventato una propria coreografia hip hop.   

Ne Il viaggio di Norm la dimensione immaginaria data da un orso parlante e il mondo reale convivono e - è proprio il caso di dirlo - comunicano fra loro. Solo in seguito, quando Norm porta a termine la sua missione, le due dimensioni smettono di sovrapporsi e di sconfinare l’uno nel mondo dell’altro. Molto interessante è il modo in cui nella pellicola viene percepita la questione dei media e dello spettacolo fine a se stesso, sia nella metropoli caotica sia al Polo Nord. In Artide vediamo orsi, foche, renne, orche e lemmings intenti a intrattenere i turisti con siparietti da varietà, nella speranza che un umano allietato sia un umano responsabile e pacifico. Il famoso “duas tantum res anxius optatpanem et circenses” di Giovenale memoria per intenderci, a beneficio di visitatori con l’indice calamitato sul tasto di scatto della macchinetta fotografica o dello smartphone. In maniera analoga, nella Grande Mela Norm è costretto a fingersi un attore per far accrescere l’indice di popolarità e di consenso intorno al progetto di colonizzazione dell’Artico pianificato dallo spregiudicato Mr. Greene. Il piano di comunicazione per promuovere case di lusso al Polo Nord prevede addirittura uno spot tv, un’ospitata a un celebre talk show stile Oprah Winfrey e - ciliegina sulla torta - un flash mob in una Times Square piena di schermi e tabelloni giganti.        

Nella versione originale si può ammirare un grande cast d’interpreti costituito da Rob Schneider, Bill Nighy, Heather Graham, Colm Meaney e Ken Jeong nel ruolo del cattivissimo immobiliarista Mr. Greene.