La battaglia degli imperi - Dragon Blade

E alla fine anche i cinesi hanno voluto fare qualcosa con i romani. Non che ci sia nulla di male, intendiamoci, ma ormai sembra che tutti abbiano necessità di mettere mano sull’impero che ha forgiato le basi dell’odierno mondo (si, sono di parte ovviamente), tutti tranne noi, che magari saremmo gli unici ad averne titolo.

Quindi eccoci di fronte ad un leader bastardo e traditore, con le fattezze di Adrien Brody (il cui naso fa provincia e non credo di averne mai visto uno simile su nessuna statua), un generale fedele e leale fino all’ottusità, con lo sguardo piagnone, un John Cusack, ormai costretto a raschiare il fondo del barile.
E poi il bambino/principe (novello Flavio Romolo Augustolo), figura feticcio sacrificata sull’altare delle necessaria vendetta.

E’ un film cinese – Jackie Chan produce – quindi l’estetica è vincolata al gusto tutto orientale per l’eccesso. Romani con corazze formate da placche metalliche o d’oro (nel caso dei generali), scudi si quadrati, ma ovalizzati stile slitte, drappi blu, poche formazioni, niente giavellotti e tanta cavalleria, insomma l'antitesi di una legione romana. 
Gli altri popoli, tutti orientali (i Parti sono i più occidentali), sono belli colorati, letali e molto caratterizzati.
Diciamo che alla fine i cinesi un po' di "guazza" ce la danno, ma ne escono ampiamente vincenti in termini di trama.

La storia è un di quelle che trasuda morale e messaggi buonistici ad ogni pie' sospinto, scritta per essere compresa anche da chi ha un QI a singola cifra.
Il purissimo Huo An (indovina un po'... Jackie Chan) è un generale caduto in disgrazia per le invidie del Prefetto locale. Da sempre Huo comanda un reparto votato alla protezione della Via della Seta che predica l'unione tra i popoli piuttosto che il conflitto.
Una legione romana in fuga arriva alle porte della città di Huo An, ma dall'iniziale conflitto nasce un'amicizia (super eroi docet) per unirsi contro un nemico comune (Adrien Brody).

Dialoghi risibili e una trama scolastica non riescono ad appassionare in questo film che registra anche la perdita dello smalto di Jackie Chan, che ormai 62enne, si limita a qualche gioco di mani e braccia, abbandonando quegli stunt estremi che sono stati il suo marchio di fabbrica.
I due divi hollywooddiani sembrano due sagome di cartone messe lì ad impreziosire lo sfondo e a rendere il prodotto spendibile all'estero.
Daniel Lee, il regista, è la vera zavorra del film. Fa rimpiangere la schiera di cineasti di Hong Kong che hanno saputo stupirci nel corso degli anni. La sua cifra stilistica di maggior risalto è l’uso del rallenty e dei primissimi piani per enfatizzare le scene, fantastico!

In conclusione il film ci ha messo un anno ad arrivare sui nostri schermi, ma sarebbe stato meglio se si fosse perso sulla via della seta.