La Bella e la Bestia

Sebbene una delle più recenti trasposizioni in fotogrammi della popolare fiaba europea La Bella e la Bestia sia stata quella interpretata nel 2014 da Vincent Cassel sotto la regia di Christophe Gans e le oltre cinquanta concepite abbiano preso il via, addirittura, ai tempi della celluloide muta, è indubbio che, al di là della celebre versione curata negli anni Quaranta da Jean Cocteau (e René Clément non accreditato), una delle maggiormente discusse e conosciute rimanga quella in versione animata Disney realizzata nel 1991, a quattro mani, da Gary Trousdale e Kirk Wise.

Una versione che non solo si aggiudicò i premi Oscar nelle categorie relative alla canzone ed alla colonna sonora, ma rappresentò il primo cartone animato che riuscì ad ottenere una candidatura all’ambita statuetta per il miglior film, riproponendo l’immortale vicenda del principe trasformato in bestia e dei suoi servitori mutati in oggetti domestici da una anziana mendicante in cerca di riparo crudelmente respinta dal primo durante una tempesta. Una versione che la major di Mickey Mouse decide di rispolverare tramite una rilettura live action – come già effettuato su altri suoi classici disegnati, tra l’altro, con Alice in Wonderland e Cenerentola – affidata a Bill Condon, il cui lodevole curriculum, al di là del quarto e quinto Twilight e del Demoni e dei riguardante la vita del James Whale regista di Frankenstein, include il musical Dreamgirls e l’horror L’inferno nello specchio (Candyman 2).

Del resto, se da un lato, tenendo fede al materiale di partenza, non pochi sono i momenti cantati – compreso il ballo accompagnato dal successo che fu in Italia di Gino Paoli e Amanda Sandrelli – nel corso del racconto che vede ora la harrypotteriana Emma Watson nei panni della Belle destinata ad entrare nell’esistenza del mostro (il Dan Stevens della serie tv Downtown Abbey), che tornerebbe umano solo riuscendo a farsi amare prima che cada l’ultimo petalo di una rosa magica, dall'altro il primo incontro tra i due nella dimora di lui non manca affatto di una lugubre, darkeggiante atmosfera. Come pure la sequenza in cui il padre di lei Maurice alias Kevin Kline corre nella foresta, a bordo di una carrozza, circondato da minacciosi lupi, mettendo in un certo senso a dura prova gli spettatori più piccoli.

Perché, in fin dei conti, come già avvenuto, tra l’altro, nel poco riuscito Maleficent, risulta evidente che una delle principali intenzioni di questi lavori disneyani d’inizio terzo millennio sia quella di rivolgere anche e soprattutto ad un pubblico adulto tipologie di spettacolo spesso indirizzate soprattutto ai bambini; tanto che, in questo caso, accanto all’affascinante e superficiale Gaston cui concede anima e corpo Luke Evans viene posto il piagnucoloso tirapiedi Le Tont di Josh Gad, chiaramente omosessuale. Una scelta di sicuro volta a testimoniare l’ulteriore allargamento di vedute socio-culturali raggiunto dalla major che produce e, in generale, dalla sempre meno bigotta Settima arte a stelle e strisce, ma che, paradossalmente, finisce soltanto per risultare piuttosto ridicola, in quanto sfruttata in un contesto molto poco appropriato.

Mentre l’esilarante clavicembalo Cadenza di Stanley Tucci va ad aggiungersi al ricco stuolo di simpatici, storici personaggi comprendenti, tra gli altri, il candelabro Lumière di Ewan McGregor, l’orologio da tavolo Tockins di Ian McKellen, la teiera Mrs Bric di Emma Thompson e la Madame de Garderobe di Audra McDonald; tutti al servizio di un’operazione non eccelsa ma esteticamente ineccepibile, oltre che impreziosita dal fatto che le già collaudate doti di Condon da bravo narratore da schermo fanno sì che le circa due ore e dieci di visione scorrano via velocemente e senza intoppi.

D’altra parte, è proprio il lodevole lavoro svolto su scenografie, costumi e fotografia a rendere decisamente giustificata e stuzzicante la fruizione di quello che, diciamoci la verità, è stato uno dei più inspiegabilmente sopravvalutati cartoon sfornati dal team di Zio Walt... i cui fan incalliti, infatti, potrebbero rimanere in questo caso delusi, convinti di imbattersi un una banalissima “copia carbone”.