La Danseuse

Loïe Fuller nasce a Fullersburg, Illinois, circondata da uomini, cavalli e natura. Il destino, però, interrompe presto l’equilibrio di quella vita e, dopo la morte del padre, Loïe cerca di trovare una sistemazione dalla madre, anche se tra le due donne non scorre affatto buon sangue. Nel frattempo, la sua passione per il movimento, la danza, i colori e le coreografie le farà maturare velocemente un vero talento per lo spettacolo. Pur senza aver mai fatto studi appositi, Loïe si cimenterà infatti a lungo come attrice teatrale e danzatrice in spettacoli folkloristici, vaudeville, circhi, burlesque e teatro di varietà. Una passione che unita al suo talento creativo le farà lasciare l’America per raggiungere la Francia della Belle Epoque, dove otterrà un successo davvero sorprendente grazie alle sue esibizioni, creazioni cariche di energia e magia, veri e propri spettacoli visivi e cromatici che lei stessa ideava facendo bozzetti e immaginando non solo i vestiti da indossare ma anche i movimenti da eseguire. Ballerina originale e di talento e coreografa di sé stessa, la ragazza si spingerà fin oltre i limiti delle proprie possibilità pur di stupire e guadagnarsi un posto nel prestigioso Folies-Bergère di Parigi. A segnare, però, il corso della sua vita (e carriera) sarà il rapporto con il suo protettore Louis e (soprattutto) l’incontro con Isadora Duncan (interpretata da Lily-Rose Melody Depp – figlia del celebre attore), ballerina classica di grande talento e assetata di successo che colpirà l’attenzione (non solo) di Loïe, rubandole la scena e determinando un cambiamento sostanziale tanto nella sua carriera quanto nella sua vita.

Basato sulla vera storia di Loïe Fuller, La Danseuse, è l’opera prima della giovane regista francese Stephanie Di Giusto presentata nella sezione Un certain regard del Festival di Cannes 2016. 

Ambientata alla fine del 18° secolo, la storia segue la trasformazione della protagonista Loïe Fuller da ragazza ‘semi-selvaggia’ della provincia americana a protagonista assoluta della scena artistica francese, divenuta vera icona del tempo nonché musa ispiratrice per veri maestri dell’arte come Toulouse-Lautrec o i fratelli Lumière. 

Lo sviluppo del racconto nel passaggio da abiti campagnoli e sdruciti a lustrini e paillette è interessante ma canonico, aderente ai ‘costumi’ e allo schema della storia, parabola di donna salita alla ribalta in una società dove per il gentil sesso era difficile non solo emergere ma perfino vivere dignitosamente. 

A dare valore aggiunto al film della Di Giusto è sicuramente il gusto per l’arte, un’estetica raffinata che nelle coreografie e nella scelta di una regia elegante, compita, garantisce alla narrazione una certa suadenza. Elemento che risalta soprattutto nei momenti ‘in scena’. Insieme al tripudio di musiche, colori, complici fedeli del successo della Fuller, c’è poi la presenza scenica della protagonista Soko, cantante e attrice francese di origine polacca che regala qui un’interpretazione partecipata, intensa, in grado di cogliere gli slanci così come i momenti d’ombra del suo personaggio. Un’interpretazione che soprattutto in chiusura regala al film un picco d’emozione, rievocando in serie tutte quelle storie di donne battutesi oltre i tempi e le convenzioni sociali.

L’esegesi tragica e romantica di un’eroina d’altri tempi spesasi totalmente nell’arte e per l’arte. Un’opera delicata pure nelle sue declinazioni più tragiche, e una regista in divenire che forse val la pena di tenere d’occhio.