La 'febbre' Ferrante sbarca al cinema

In molti hanno cercato di dare un volto alla scrittrice, o scrittore, che si cela dietro lo pseudonimo di Elena Ferrante, ma la ‘primula rossa’ della letteratura italiana è sempre riuscita a mantenere il segreto. Ora, è davvero così importante conoscere il vero nome di chi ha regalato al pubblico le pagine de L’amore molesto, I giorni dell’abbandono, La figlia oscura, e della tetralogia L’amica geniale? Che siano stati Domenico Starnone o la moglie Anita Raja, Francesco Piccolo o Marcella Marmo, farebbe qualche differenza? Probabilmente no, e della stessa idea sembrano essere il regista Giacomo Durzi e Laura Buffoni, che nel bel documentario Ferrante Fever, da loro ideato e scritto, si tengono lontani dal cadere nella fin troppo facile trappola del gossip.

Tralasciando infatti i pettegolezzi che ruotano intorno alla vera identità dell’autrice, Durzi porta lo spettatore nell’universo ferrantiano grazie alle parole di persone, più o meno note nel campo dell’editoria, che spiegano come mai la febbre Ferrante, che ha colpito come un’epidemia i lettori ‘born in Usa’ più che quelli nostrani, non accenni ancora a diminuire. Già, perché da quando James Wood - critico letterario tra i più severi - nel 2013 fece uscire sul The New Yorker un articolo in cui lodava la prosa della nostra misteriosa narratrice partenopea, gli scaffali delle librerie americane sono invasi dalle copertine dei suoi romanzi.

Come in un puzzle, nel documentario di Durzi ogni intervista corrisponde a un elemento indispensabile per riuscire a svelare i motivi del grande successo che avvolge il ‘caso Ferrante’. Ma se da un lato la scelta di far raccontare l’enigmatica autrice a personalità appartenenti al mondo dell’arte, fatta eccezione per Hillary Clinton, potrebbe per certi versi risultare vincente, dall’altro ne segna un gran limite, il non aver catturato le impressioni dei lettori comuni: grave quanto inspiegabile mancanza. Che il passaparola sia un metodo infallibile per stroncare o decretare la riuscita di un’opera letteraria, e non soltanto, è infatti un dato ormai accertato, sarebbe dunque stato estremamente interessante ascoltare le voci di quei numerosi divoratori di libri che immaginiamo - durante i lunghi tragitti in metropolitana, in treno o chissà dove - immersi nelle storie di Delia, Olga, Leda, Lenù e Lila. Nonostante ciò l’opera di Durzi è comunque importante e a tratti profondamente poetica, un lavoro dove, utilizzando una serie di immagini animate e inserendo la voce fuori campo della bravissima Anna Bonaiuto mentre legge alcuni brani tratti da La Frantumaglia, la figura sfuggente della Ferrante viene mostrata con grazia e leggiadria… proprio come fosse un fantasma.

A raccontare le forti emozioni provate introducendosi nelle vite dei personaggi della scrittrice nata a Napoli (una delle poche sue notizie certe), ci pensano: Jonathan Franzen, scrittore e saggista statunitense; Ann Goldstein, traduttrice in lingua inglese dei romanzi della Ferrante; Mario Martone e Roberto Faenza, che rispettivamente hanno portato sul grande schermo L’amore molesto e I giorni dell’abbandono; Roberto Saviano, che candidò l’autrice al Premio Strega 2015, e Nicola Lagioia che quel premio lo vinse; la sceneggiatrice Francesca Marciano e il Premio Pulitzer Elizabeth Strout.

Nelle sale il 2-3 e 4 Ottobre con QMI Stardust, Ferrante Fever è una buona occasione per comprendere che il valore letterario di un’opera ha ben poco a che vedere con il sesso, l’età, il nome e il cognome dell’autore stesso: il contenuto vince sulla forma, Elena Ferrante docet.