La mia vita da Zucchina

Il concetto di famiglia quale luogo di incontro e comunione, solidarietà e affetto, realtà ideale per uscire dal cono d’ombra della propria solitudine e sentirsi in qualche modo compresi, e amati. Claude Barras su sceneggiatura di Celine Sciamma (un nome che è oramai un marchio di garanzia di qualità specie se affiancato a tematiche infantili e di crescita, scoperta di sé stessi, autodeterminazione) realizza un film d’animazione breve ma intenso che in solo 66 minuti racchiude tutta l’essenza di ciò che dovrebbe – e non dovrebbe – essere una famiglia degna di questo nome.

La famiglia come entità di raccordo e comunione è qui analizzata in molte sue sfaccettature, positive e negative. Dalle famiglie fallimentari d’origine (vittime della loro stessa violenza, degli abusi, delle dipendenze, o della semplice incapacità genitoriale), a quelle ispirate d’arrivo (l’orfanotrofio, gli amici, i genitori adottivi) La mia vita da zucchina (basato sul libro “Autobiographie de une Courgette” di Gilles Paris) segue le vicissitudini del protagonista Icaro (ribattezzato zucchina da una madre dedita all’alcool e mai particolarmente affettuosa) all’interno di un microcosmo di famiglie disfunzionali e realtà d’accoglienza inaspettatamente ispirate. All’interno dell’istituto per bambini orfani, dove Zucchina giungerà con il bagaglio ‘leggero’ di una bottiglia di birra (in ricordo della madre alcolizzata) e un aquilone con su disegnato il padre mascherato e fedifrago (ritratto in compagnia dell’amante pollastra), il piccolo Zucchina si sentirà infatti dapprima solo al mondo e abbandonato, ma scoprirà poi – poco alla volta - dei compagni di viaggio straordinari (Simon, Camille) in grado di colmare almeno in parte il vuoto lasciato dalla definitiva ‘dipartita’ di genitori mai troppo amorevoli o presenti. In quella realtà marginale di bambini tutti ugualmente provati e sofferenti, provenienti da realtà di disagio e dolore, Zucchina metterà allora insieme i cocci della propria esistenza fin lì brutale e farà i primi veri passi verso una nuova vita di riscatto e riconciliazione con sé stesso, e il mondo circostante.

Nella breve fotografia di questa parabola di crescita, questo piccolo film d’animazione francese compie un giro completo attorno all’idea di chance, riscatto, e possibilità concessa (magari in extremis) a chi ha avuto la sfortuna di nascere nel posto o nel momento sbagliato, ma che può sempre sperare di avere un proprio ‘momento’ per ribaltare la partita della vita. Riflessione profonda sulla famiglia e sul diritto alla felicità, il film di Claude Barras muove inoltre un passo importante all’interno delle tematiche numerose e sempre ‘spinose’ sull’accettazione e sul ‘diverso’, indicando una via possibile per trasformare esperienze e ‘colori’ diversi in una tavolozza umana ricca ed eterogenea. I visi rotondi segnati da grandi e tristi occhi vagamente burtoniani definiscono a livello visivo il confine tra realtà ereditata e realtà operata, ma sono poi il carattere emotivo dell’opera, e il valore sotteso del suo messaggio a fare realmente la differenza.

Le suggestioni candide racchiuse all’interno dei concetti di amicizia e amore entrano infatti a gamba tesa in questa breve ‘autobiografia’ animata (di teneri ed espressivi pupazzi realizzati in stop motion) creando una cesura netta tra rassegnazione e voglia di cambiamento, tra i colpi inferti e quelli assestati al luna-park della vita, un luogo impervio dove spesso si gioca d’azzardo e senza vincere nulla, ma altre volte (invece) per due soldi si torna a casa con un grande e amato peluche. Ancora un prodotto d’animazione europea (coproduzione franco-svizzera) di altissima fattura, dove sensibilità e profondità del punto di vista trasformano una storia di ‘bambini’ in una toccante fiaba profondamente adulta.