La signora dello zoo di Varsavia, quando il lirismo stride con la realtà

E’ necessario, se non indispensabile, che nessun essere umano scordi mai ciò che accadde durante la Seconda Guerra Mondiale, quando 6 milioni di ebrei vennero barbaramente sterminati a causa di una folle ideologia scaturita dalla mente malata di un solo individuo. Premessa, questa, doverosa per comprendere l’importanza di alcuni film, anche se talvolta non perfettamente riusciti, incentrati su uno dei periodi più oscuri e orribili della Storia contemporanea: il nazismo. L’industria cinematografica, dalle grandi produzioni hollywoodiane al cinema d’autore, portando sul grande schermo molteplici opere che hanno sviscerato il tema della Shoah, non soltanto ha contribuito a tenere viva la ‘memoria’, ma ha anche fatto conoscere al grande pubblico le eroiche gesta di ‘piccole grandi persone’. E' questo il caso de La signora dello zoo di Varsavia – tratto dall’omonimo romanzo di Diane Ackerman che narra la vera storia dei coniugi Zabinski , ultimo lungometraggio della regista neozelandese Niki Caro (La ragazza delle balene).

Il film inizia dai momenti immediatamente precedenti l’entrata delle truppe germaniche in Polonia, dove, grazie alla gestione del rinomato zoologo Jan e all’abilità di sua moglie Antonina nell'accudire gli animali, la famiglia Zabinski dirige lo zoo che è uno tra i più importanti del mondo. Il giardino zoologico catturerà l’attenzione di Lutz Heck, un funzionario tedesco interessato all’eugenetica e ossessionato dall’idea di recuperare specie animali ormai estinte: ma nel settembre 1939 Varsavia verrà bombardata e nulla sarà più come prima. Jan e Antonina, sconvolti da quanto accade loro intorno, prenderanno infatti la pericolosa decisione di salvare da morte sicura circa 300 ebrei, nascondendoli nei meandri della propria casa e nelle gabbie ormai vuote che circondano l’abitazione…

Se da un lato si deve essere grati a Niki Caro per avere mostrato agli spettatori un episodio poco noto, dall’altro non si può però esultare per come questo sia stato messo in scena. Di stampo classico, fin troppo convenzionale, La signora dello zoo di Varsavia si presenta come un prodotto eccessivamente edulcorato in cui eleganza e lirismo predominano su ogni altro aspetto. Costruire un resoconto romanzato di un fatto orribile realmente avvenuto e ammantarlo di poesia è un’operazione che stride fortemente con l’abominio dell’orrore nazista. La terrificante immagine della pioggia di cenere che oscurò il cielo di Varsavia quando il suo ghetto fu bruciato, viene qui rappresentata in maniera inadeguatamente aulica: non può esserci nulla di bello nell'efferatezza della crudeltà... mai, neppure visivamente parlando.

Intendiamoci, non è un brutto film… ma non raggiunge il cuore dello spettatore, e nonostante il cast se la cavi piuttosto bene – Jessica Chastain, in doppia veste di interprete e produttrice esecutiva, Daniel Brühl, Johan Heldenbergh –, l’opera di Niki Caro non riesce ad andare oltre la patinata confezione.

Nel 1939, in una Varsavia invasa da animali feroci scappati dallo zoo, a far paura era un'altra bestia, di una specie che continua purtroppo a riprodursi: l'uomo ottuso, quello prevaricatore e razzista. La signora dello zoo di Varsavia rientra quindi nella categoria di quei film essenziali per rammentare che il male va sempre e comunque combattuto, anche a costo della propria vita. Un lavoro imperfetto, a tratti anche irritante, ma non per questo meno importante.