La tragedia del sottomarino russo Kursk

Pochi forse ricordano la tragedia avvenuta nel Mare di Barents nel 2000: il giornalista Robert Moore l'aveva raccontata nel libro "A time to die" ed il regista Thomas Vinterberg ha preso spunto da esso per portare la storia sul grande schermo. L'adattamento dello sceneggiatore Robert Rodat – lo stesso di Salvate il soldato Ryan, giusto per dare un'idea dell'accuratezza -, mescola realtà e finzione perché l'intento del regista non era tanto quello di attaccare le autorità russe – sebbene l'ammiraglio interpretato da Max Von Sydow susciti un astio istantaneo - quanto concentrarsi sul dramma umano vissuto dai ventitré superstiti e dalle loro famiglie.

La lunga ricerca effettuata nel corso di svariati mesi e soprattutto la consulenza del commodoro David Russell, tra i reali protagonisti della vicenda ed interpretato dal sempre eccellente Colin Firth, ha fatto sì che la produzione partisse a pieno titolo con ben venti milioni di dollari di budget e location che hanno toccato il Belgio, la Francia e la Norvegia, poiché la Russia, che inizialmente aveva promesso una collaborazione con la troupe, ha poi negato l'accesso sia in patria che ad informazioni utili alla realizzazione del film.

Presentato al Toronto Film Festival a Settembre del 2018, il mese successivo Kursk è approdato anche alla tredicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, dove è stato accolto da un lungo applauso.

Il nuovo film di Vinterberg, il quarto in lingua inglese, è l'ultimo in cui compare l'attore Michael Nyqvist, scomparso il 27 Giugno del 2017, un mese prima della fine delle riprese, e racconta quello che fu un vero e proprio omicidio di stato perpetrato ai danni dell'equipaggio del Kursk, che i burocrati russi rifiutarono di far soccorrere dalla marina britannica, dotata di mezzi nettamente più avanzati.

Fin dalle prime scene, il regista illustra in maniera efficace e assai realistica, la vita della cittadina affacciata sull'Oceano Artico in cui vivono perlopiù i marinai russi e le loro famiglie, dal cielo plumbeo, ai palazzi anonimi che svettano sulla costa, fino ai prati verdi sferzati dal vento.
La ricchezza non fa certo parte della vita di queste persone che però sono unite tra loro, come dice infatti il protagonista, un bravissimo Matthias Schoenaerts: “Il posto è misero ma siamo una cosa sola”.
Insinuandosi nelle case dei protagonisti e al matrimonio di uno di loro, il regista danese si sofferma sui colori della piccola chiesa ortodossa, sui bellissimi canti che accompagnano la cerimonia per approdare, infine, negli spazi angusti e claustrofobici del sottomarino nucleare Kursk.

Contattato in prima persona dall'attore Schoenaerts, Vinterberg, tra i fondatori del movimento Dogma '95, ha realizzato un'opera di ampio respiro, recitata in inglese sebbene ambientata in Russia, e ha ritrovato nella sceneggiatura temi a lui molto cari quali la giustizia, la famiglia e l'eterna lotta dell'uomo con la burocrazia.

Kursk racconta una vicenda tragica e lo fa mantenendo un infinito rispetto per essa, ammantando il tutto con una sacralità di fondo di cui si fanno portavoce i canti religiosi che accompagnano certe immagini del film, tra cui quella, suggestiva e drammatica al tempo stesso, dei bambini affacciati alla staccionata che guardano l'enorme sottomarino che si allontana dalla costa e si inabissa nelle gelide acque del Mare di Barents.

Da questo momento in poi, la tensione cresce sequenza dopo sequenza fino ad arrivare all'incidente: il sottomarino trasporta infatti un siluro a perossido di idrogeno che si surriscalda fino ad esplodere. Le immagini, e dunque gli effetti speciali, sono davvero impressionanti: seguiamo la disperata lotta per la sopravvivenza dei marinai che combattono non solo con il livello dell'acqua che invade tutti i compartimenti di prua, ma anche con la mancanza di ossigeno e con la temperatura bassissima.

E sulla terraferma teniamo il fiato sospeso insieme alle mogli dei marinai dispersi, lasciandoci pervadere dallo stesso sollievo che prova il personaggio interpretato da Léa Seydoux, che corre in strada per urlare a tutti i conoscenti che sono stati captati segnali dal Kursk e che la nave di salvataggio è partita per andare a soccorrere i loro mariti, padri, figli.

L'attesa è logorante, per i protagonisti come per lo spettatore che attende solo il compiersi di una tragedia che si sarebbe potuta evitare. Ma purtroppo, come dice l'ammiraglio della nave di salvataggio: “il potere non ha nulla a che fare con la vita”. E in questo caso, l'orgoglio russo e la protezione di un segreto riguardante certi siluri, hanno messo in secondo piano la vita di un intero equipaggio, facendo sì che ben settantuno bambini rimanessero orfani di padre.

Un film toccante e doveroso che racconta il dramma che ha investito un'intera cittadina. 
Dolorosamente bello, vero, vivo.