Lady Bird: la voglia adolescenziale di ‘prendere il volo’ nell'avvolgente opera prima di Greta Gerwig

Christine, anarchicamente ribattezzatasi Lady Bird (letteralmente donna uccello, ma anche coccinella), ha diciassette anni, una repulsione per la Sacramento in cui è nata e vive, e la disperata voglia di fare l’Università nella East Coast, magari proprio nella sua adorata New York. La vita a Sacramento, infatti, le sta quanto mai stretta e ogni via imboccata sembra ricondurla inevitabilmente sempre al punto di partenza, alla sua casa dalla “parte sbagliata della ferrovia”, al rapporto conflittuale con la madre, e alla cerchia ogni giorno uguale di amici e conoscenti. A salvarla dal corto circuito adolescenziale, però, ci sono anche il rapporto speciale e complice con il padre, e una serie di “avventure” amorose che la condurranno, nel bene e nel male, verso il consueto e necessario processo di maturazione e accettazione esistenziali con cui ogni adolescente deve prima o dopo fare i conti.

Alla sua prima prova da regista in solitaria (senza il supporto oramai consolidato del compagno di vita e d’arte Noah Baumbach), Greta Gerwig realizza un coming of age/racconto di formazione delicato e avvolgente, cucito addosso all’ottima protagonista  - la ventitreenne e orami lanciatissima Saoirse Ronan - e contestualizzato in una periferia americana autoreferenziale che diventa prigione e da cui si origina dunque la voglia di allontanarsi, volare; ideali di movimento strettamente legati a quel nomignolo che porta con sé l’idea di una ragazza con le ali, Lady Bird per l’appunto.

Ripartendo dalla propria memoria autobiografica di ragazza di provincia alla prese con una realizzazione che appare lontana anche se non del tutto impossibile, la Gerwig scava nello sguardo tutto al femminile della sua protagonista per intraprendere un viaggio catartico e universale nel processo di crescita, nel rapporto madre-figlia, e soprattutto nella scoperta di un mondo che spesso non è come speravamo che fosse, ma che poi, all’improvviso, si apre di colori per regalare momenti di ineguagliabile meraviglia. Saoirse Ronan aderisce perfettamente  al profilo della sua Lady Bird, romantica, ribelle e ingenua al punto giusto, conferendo poi al suo personaggio anche quel tocco di spericolata armonia che è tipica delle esistenze ai limiti: bizzarre ma speciali. Dal canto suo, Laurie Metcalf brilla nei panni della madre infermiera, donna pragmatica, amorevole e orgogliosa eppure incapace di trasferire alla figlia le evidenze dell’amore materno. Il loro rapporto conflittuale sin dalle prime scene origina e nutre l’emotività interrotta del film, segnando un punto preciso in quel circolo amoroso che il film descrive, e che trova in Lady Bird la sua origine e il suo epilogo.

Tenera, delicata, e divertente, l’opera prima della Gerwig racconta esperienze convenzionali in maniera non convenzionale, ritrovando nell’atmosfera tipicamente indie e in un cocktail sapientemente mescolato di dialoghi (sceneggiatura sempre a cura della stessa Gerwig) e musiche (si va da Hand in My Pocket di Alanis Morisette a Crash into me dei Dave Matthews band) il valore importante di una grande verità: molte volte nella vita il non detto è ben più importante di ciò che viene esplicitamente dichiarato. E infatti quel senso di complicità sottesa, di inaspettato supporto, e di meraviglia in cui Lady Bird s’imbatterà, un po’ per scelta e un po’ per caso, saranno proprio il non detto di una serie di disavventure e conflitti molto più ‘evidenti’.

Un viaggio non ortodosso alla ricerca di sé stessi, infine maturato nella consapevolezza che per tornare realmente a casa spesso è davvero necessario “volare via”.