L’ultimo viaggio, ritrovare il passato per conoscere il presente e costruire il futuro

Per tentare di dimenticare gli errori e gli orrori compiuti in gioventù non basta chiudere le porte al passato, perché arriverà il giorno in cui la voglia di catarsi andrà oltre i più vani tentativi di seppellire ingombranti e amari ricordi: ricordi che, se sottaciuti per anni, non solo mineranno i futuri rapporti interpersonali di chi ha scelto la strada dell’oblio, ma innanzitutto negheranno a figli o nipoti la possibilità di aggiungere importanti tasselli indispensabili per comprendere la propria identità. L’ultimo viaggio, scritto e diretto dal berlinese Nick Baker Monteys, è un affascinante e commovente road-movie che accompagnerà per mano lo spettatore all’interno di un racconto intimo che si trasformerà in toccante storia universale, in cui passato e presente si intrecceranno sul percorso della memoria e della difficile ricerca del Sé.

Il vedovo 92enne Eduard (interpretato dal favoloso Jurgen Prochnow) decide di partire da Berlino per raggiungere un villaggio dell’Ucraina dove nel 1944/45, oltre ad avere combattuto come ufficiale della Wehrmacht a fianco dei Cosacchi contro l’Armata Rossa, visse anche una situazione che avrebbe poi segnato la sua intera esistenza. A seguirlo controvoglia in questo folle progetto sarà la nipote Adele (la bellissima e altrettanto brava Petra Schmidt-Schaller), che suo malgrado si ritroverà costretta a convivere con un nonno di cui nulla sa e nulla le interessa sapere, almeno fino a quando non inizierà a comprendere l’importanza delle proprie radici familiari...

Sebbene la tematica del viaggio come esperienza purificatrice e liberatoria sia stata protagonista di numerose pellicole, Baker Monteys realizza un’opera originale che trae forza da una trama complessa, e mai ostica, che invoglia il pubblico a rispolverare i vecchi libri di Storia per documentarsi su quella strana alleanza formatasi durante la Seconda Guerra Mondiale tra soldati tedeschi e una frangia di quelli Cosacchi. Ma questo non è che uno dei tanti elementi che allontanano L’ultimo viaggio da un pericoloso déjà-vu filmico, perché ciò che in esso più colpisce è la grande abilità del filmmaker tedesco nel riuscire a rendere coerente e compiuta una narrazione che include epoche storiche diverse e differenti punti di vista. Sì, grazie alla linearità e alla chiarezza di un solido script, Baker Monteys ci offre un lavoro profondo che si snoda senza intoppi, un lungometraggio che pone in relazione tanto l’attuale conflitto civile della Crimea (tra filorussi e nazionalisti) con le ataviche ‘colpe’ della Germania, quanto la crisi d’identità con gli attriti tra generazioni. L’ultimo viaggio ci parla dunque non della guerra in sé e per sé o della mera distinzione tra buoni e cattivi, no, tutt'altro, ciò che vengono magistralmente qui descritti sono i sensi di colpa mai sopiti di chi ha cercato di cancellare dalla mente il proprio abominevole passato: un’eco vibrante fatta di rimorsi che si dissolverà esclusivamente grazie a un atto di riconciliazione e accettazione dei tempi andati.

Autentico, appassionato, intelligente, istruttivo e adatto a far riflettere, il film di Nick Baker Monteys insegna a ognuno di noi che con le parole non dette, gli sterili silenzi, i pesanti rancori e le volute dimenticanze non si costruisce il futuro, anzi...