Malarazza: Una storia di periferia, ai confini della realtà catanese

Sarà vero che se si vuole sopravvivere bisogna sporcarsi le mani e prendere posizione?
A tre anni dal lungometraggio d’esordio La bugia bianca (2014) prova a risponderci Giovanni Virgilio attraverso Malarazza: Una storia di periferia, orchestrato tra i sobborghi e i quartieri degradati del centro di Catania per portare in scena la vicenda della giovane madre Rosaria che, interpretata dalla Stella Egitto di In guerra per amore (2016), è vittima insieme al giovane figlio Antonino alias Antonino Frasca Spada di un sistema di potere malavitoso rappresentato da due figure: il boss in declino Tommasino Malarazza e Pietro detto U Porcu, ovvero David Coco e Cosimo Coltraro. Come pure Franco, fratello transessuale della donna che, con le fattezze del Paolo Briguglia de I cento passi (2000), si dedica alla prostituzione nel corso di oltre un’ora e mezza di visione che non manca neppure di far cadere qualche cadavere a terra. Oltre ora e mezza di visione che, immersa tra tutt’altro che affascinanti palazzoni popolari e scenografie urbane di cemento, poggia sì sulle lodevoli prove sfoderate dagli elementi del cast, ma senza dimenticare di fondere con mestiere la teatralità suggerita dall’importanza data agli attori con una nient’affatto sciatta tecnica generale.

Perché, se la sceneggiatura a firma dello stesso regista affiancato da Luca Arcidiacono si limita a fornire senza troppa originalità un veritiero spaccato di precaria esistenza nell’estremo sud tricolore suggerendo la periferia come simbolo di sogni di gioventù traditi e trappole da cui diventa spesso impossibile liberarsi, i fluidi movimenti di una macchina da presa quasi sempre in movimento provvedono a conferire il giusto dinamismo all’evoluzione del racconto. Evoluzione oltretutto impreziosita dal notevole lavoro svolto da Giovanni Mammolotti sulla fotografia, efficacemente dispensatrice di disperata cupezza attraverso giornate grigie negli esterni e abbondanza di ombre e contrasti nelle situazioni che, invece, si svolgono in interni.

Mentre il sapiente uso della colonna sonora – comprendente, tra l’altro, una inedita Arisa che canta in portoghese – non manca di gettare l’indispensabile spruzzata di poesia su una realtà che, al di fuori dello schermo, non ne possiede affatto