Mine

Il cinema italiano di genere non è morto, anzi, grazie a registi come Stefano Sollima e Gabriele Mainetti, ed ora grazie anche all'ottimo duo composto da Fabio & Fabio, ovvero Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, sta vivendo una vera e propria rinascita.
E con Mine torna alla ribalta in maniera davvero sorprendente.

Noti al pubblico più attento e frequentatore di festival per i loro cortometraggi di fantascienza tra cui E:D:E:N, Silver Rope ed Afterville, i due registi hanno dato vita al progetto di Mine nel 2014, girando per cinque settimane sulle spiagge di Fuerteventura – il film nasce infatti da una co-produzione italo-spagnola – e lavorando a lungo sulla post-produzione per eliminare, tra le altre cose, i turisti e il mare che si vedeva in lontananza.

La storia è infatti quella di un soldato in missione che, mentre attraversa il deserto con il suo osservatore per rientrare alla base, poggia il piede su una mina antiuomo ed è costretto a rimanere immobile per due giorni e due notti fino all'arrivo dei soccorsi.

La particolarità di Mine, come ha sottolineato anche Guaglione durante l'interessante conferenza stampa, è che si tratta di un film di genere ma lo stesso genere, come il protagonista del film, subisce delle trasformazioni. Si parte dal war movie per approdare ben presto al thriller, al film survivor ed infine al dramma, in un crescendo di tensione talmente ben costruito a livello di sceneggiatura e regia, che la stretta allo stomaco si allenta solo sui titoli di coda.

Non lasciatevelo sfuggire questo primo lungometraggio di Fabio & Fabio: se avete visto e apprezzato Buried, con Ryan Reynolds – il produttore, Peter Safran, è lo stesso – Mine vi lascerà senza fiato. E' di quelli che ti fanno appiattire contro la poltrona, che tiene col fiato sospeso fino alla fine, che fa fare il tifo per il protagonista, che nasconde colpi di scena e che, alla fine, riesce anche a commuovere.

Azione e introspezione si fondono perfettamente in un film che inizia immergendoci in medias res per mezzo della ripresa a spalla, per poi concentrarsi sul one man show di Armie Hammer che qui, svestiti i panni del cowboy di Lone Ranger, interpreta un soldato alle prese con i fantasmi del passato che lo affliggono e gli impediscono di vivere serenamente e in pace con se stesso.

Quello di Mike, da quando mette il piede su una mina e sente il minaccioso scatto sotto di sé, è un vero e proprio percorso di crescita personale, di presa di coscienza che lo porterà, dopo cinquantadue ore di tormento interiore, a far luce su chi è e chi vuole diventare.

L'efficace ricorso al montaggio alternato che unisce indissolubilmente flashback e presente, è parte integrante dell'angoscia che il film mantiene alta per tutti i centosei minuti. Lo stesso ralenty, piazzato talmente ad arte che viene da portarsi le mani al volto per l'ansia, è accompagnato da una musica enfatica che cresce d'intensità fino all'imminente tragedia.

A smorzare la tensione ci pensa il personaggio del Berbero, interpretato dall'attore britannico Clynt Dyer, che regala piccoli stralci di umorismo, palesandosi di fronte al povero Armie come una sorta di sciamano venuto ad esortarlo, ad imporgli la lezione di vita che lui, con le sue poche forze e il suo bagaglio di rabbia e dolore, non riesce a comprendere.

Fermo sotto il sole cocente, senza più acqua, dopo una tempesta di sabbia e con la radio scarica, il malcapitato si chiede comicamente: “Nient'altro?”

 Scritto a quattro mani dagli stessi registi, Mine è così, tiene letteralmente incollati alla poltrona ma suscita anche qualche risatina che rende il personaggio ancora più umano. L'attore americano, dal canto suo, regala un'interpretazione di altissimo livello: bello e bravo. E a quanto hanno raccontato i due omonimi autori, anche romantico: mentre erano sulla spiaggia per girare una lunga scena, infatti, arrivò sua moglie vistosamente incinta, con un grande cappello che mise sulla testa del marito e lui, a sua volta, rimase ad osservarla con sguardo languido fino a quando non scomparve all'orizzonte. Proprio l'uomo dei sogni!

Considerazioni femminili a parte, di Mine Guaglione si augura non solo che piaccia al pubblico ma che, soprattutto, gli spettatori continuino a parlarne. Di certo è un film che si insinua nell'animo perché è tecnicamente e letteralmente valido e innovativo, perché è coinvolgente dal primo all'ultimo fotogramma e perché, come hanno spiegato entrambi i registi, è quasi una metafora della loro vita. Loro stessi, una volta ricevuta la chiamata dagli USA, hanno avviato numerosi progetti senza riuscire a fare il fatidico passo avanti che viene richiesto al protagonista. Ma alla fine ci sono riusciti, e Mine arriverà presto nelle nostre sale per poi approdare negli Stati Uniti e nel resto del mondo con il suo carico di emotività.