My name is Adil, l’incredibile dono di saper mostrare l’emigrazione con poesia

E’ inutile negarlo: il cinema italiano è in crisi. A parte qualche sporadica ‘perla’ estratta dal cilindro di uomini lungimiranti del settore, come ad esempio Lo chiamavano Jeeg Robot, al botteghino la maggior parte dei nostri film si è rivelata un bel flop di incassi. Eppure, a guardar bene, di opere interessanti se ne trovano diverse. Già, a guardar bene, perché il problema è tutto lì, ossia nel non lasciarsi sfuggire l’esigua programmazione nelle sale di quei piccoli film indipendenti che a volte sono veri gioielli: My name is Adil ne è la dimostrazione. Vincitore di numerosi premi in vari festival internazionali (Ventotene Filmfestival, Alexandria Mediterranean Filmfestival, Religion Today Filmfestival di Trento, Miami Independent Festival, Tangier Film Festival), il lavoro d’esordio del ventottenne Adil Azzab, scritto e diretto in collaborazione con Andrea Pellizzer e Magda Rezene, riesce brillantemente a coniugare qualità registica, narrazione solida e valori universali quali la libertà, la tolleranza e la solidarietà.

Il film è un racconto autobiografico che parla di migrazione, del profondo significato di accoglienza e dell’avverarsi di un sogno. Il piccolo Adil, vittima di uno zio violento e di un contesto tutt’altro che confortevole, vive in un paesino del Marocco in cui è costretto a fare il pastore. Da quel luogo, dove l’istruzione è un privilegio concesso a pochi, a tredici anni il ragazzo scappa via col desiderio di costruirsi un futuro migliore e raggiungere il padre emigrato in Italia molto tempo prima…

La tanto affascinante quanto struggente atmosfera creata dalle immagini di campi, di greggi e pareti color ocra delle umili case del villaggio inondate dal caldo sole magrebino, fa da contraltare alla freddezza della metropoli milanese dove pioggia, neve e grigiore rispecchiano la dura condizione di tanti immigrati, soprattutto giovani. Sì, perché nel film l’elemento innovativo è proprio questo: l'aver affrontato argomenti essenziali come emigrazione, identità culturale, crescita e nostalgia delle proprie radici, attraverso lo sguardo genuino di un tredicenne. Ma la potenza di quest’opera, al di là degli importanti temi trattati, sta nella semplicità, nella coerenza narrativa, nella splendida fotografia, nella sincerità dei dialoghi, nella suggestiva colonna sonora (musiche originali di Rolando Marchesini, voce e testi di Alessandra Ravizza) e nell’incredibile bravura del cast interamente composto da attori non professionisti, tra cui: Adil Azzab che interpreta se stesso; Hamid Azzab, nella vita reale fratello minore di Adil; Ali Tatawi, il saggio nonno che, nonostante il limitato numero delle sue battute, buca il grande schermo ad ogni apparizione.

La genesi del film ha poi anche dell’incredibile. Adil Azzab, Magda Rezene (nata in Italia da genitori eritrei) e Andrea Pellizzer si sono conosciuti nel 2011 in un campus di formazione - presso cui svolgevano funzione di accompagnatori - destinato ad adolescenti in condizioni disagiate. Una sera, mentre Adil raccontava ai suoi nuovi amici come era arrivato in Italia, ai tre nacque all’improvviso l’idea di realizzare un lungometraggio sulle difficoltà dell’emigrazione secondo la prospettiva di un ragazzino. E sebbene il proverbio reciti che ‘tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare’, loro quel mare lo hanno superato recandosi in Marocco per girare qualche ripresa. Utilizzando il crowdfunding e il contributo di professionisti del settore che hanno creduto nella validità del progetto (Gabriele Salvatores e Tahar Ben Jelloun, giusto per citarne alcuni), e muniti solo di due macchine fotografiche e 2 cavalletti... il sogno è adesso realtà!

Nelle sale il 24-25 e 26 Ottobre grazie a Unisona Live Cinema. Poetico, commovente, emozionante, imperdibile, My name is Adil è la prova che il cinema italiano non è morto, come qualcuno sostiene: semplicemente, viene celato agli occhi del grande pubblico. Chissà perché!