My name is Emily: In viaggio per papà

My name is Emily è un’opera malinconica, dove imperversa una continua voice over che si nutre di tre storie diverse per parlare dell’esistenza umana in generale. Il destino personale del fragile Robert (Michael Smiley) precipita su quello della figlia Emily (Evanna Lynch), quando l’uomo viene rinchiuso in una clinica psichiatrica a seguito della morte della moglie. A sua volta, l’adolescente Arden (George Webster) coglie e assorbe la solitudine di Emily, vedendo nella nuova compagna di classe un riflesso della propria amarezza.

Ognuno di questi tre personaggi si confronta con una verità banale, ma affatto scontata: la vita è apertura, è una continua sorpresa. È andare avanti, soprattutto. Difficile certo rendere questa sensazione in una pellicola, perché il cinema per sua stessa natura cristallizza e imprigiona la realtà in una struttura chiusa. Raccontare il film usando la chiave del road movie è una scelta intelligente, perché consente di porre ai margini l’esigua vitalità delle immagini rispetto alla fuggevolezza della vita. E lo fa con piccoli matematici cambiamenti di tono, oscillando tra fiumi di tristezza e sentieri battuti dall’ironia.

My name is Emily è stato scritto e diretto dall’irlandese Simon Fitzmaurice. Affetto da sclerosi laterale amiotrofica (SLA) che l’ha reso a poco a poco del tutto paralizzato, il regista ha scritto il copione grazie a un software di riconoscimento dell’iride: un mezzo che gli ha consentito - peraltro - di comunicare con la troupe e di dirigere gli attori.

La migliore di tutto il cast è Evanna Lynch. La giovane non è rimasta intrappolata al ruolo della stramba Luna Lovegood di Harry Potter e l’Ordine della Fenice, pellicola con cui nel 2007 esordì al cinema. È cresciuta e, con la sua naturalezza e semplicità, ha dimostrato di avere un temperamento che la rende disponibile a qualsiasi rischio davanti alla macchina da presa.

Toccante è anche l’interpretazione di Smiley nella parte del genitore freak, filosofo di una vita senza più catene. Il filmaker ha raccontato che iniziò ad abbozzare il personaggio di Robert, quando un giorno ascoltò un’amica di famiglia raccontare la storia di un suo lontano zio. A quanto pare, l’uomo lasciò la moglie partoriente all’ospedale e corse in biblioteca per documentarsi sui bebè: mentre suo figlio veniva alla luce, si era improvvisamente reso conto che non sapeva cosa volesse effettivamente dire essere padre.

My name is Emily ha partecipato a vari festival in tutto il mondo, conquistandosi un posto da secondo classificato al Giffoni Film Festival 2016 e il titolo di “Miglior film per gli adolescenti” al Youngabout International Film Festival.