
Nerve: la vita di Emma Roberts è in gioco
Incuriosisce non poco il fatto che, in un periodo storico in cui le cronache parlano tanto del Blue Whale – “gioco” che spingerebbe dal web i giovani ad affrontare cinquanta prove in altrettanti giorni, fino al suicidio – approdi sul grande schermo un lungometraggio incentrato proprio su un argomento analogo.
È bene precisare, però, che il romanzo di Jeanne Ryan da cui prende le mosse Nerve risale addirittura al 2012 e anticipa di qualche anno, quindi, la temibile moda mortale attraverso l’avventura intrapresa dalla timida e morigerata studentessa delle scuole superiori Vee Delmonico, interpretata nella trasposizione da Emma”Scream 4”Roberts. Studentessa che decide di uscire dalla noiosa routine iscrivendosi, appunto, al popolare social game online del titolo, che prevede il superamento di una serie di sfide in cambio di compensi in denaro e nel quale si trova a far coppia con lo sconosciuto Ian, incarnato dal Dave Franco fratello del famoso James. Serie di sfide che, ovviamente, tra una corsa sfrenata in moto ed imprese a rischio di caduta da vertiginose altezze, sono destinate a rivelarsi sempre più pericolose; tanto che la sequenza in cui abbiamo anche un concorrente pronto a sdraiarsi sui binari della metropolitana in attesa che il convoglio gli passi sopra arriva quasi a suggerire, nella mente del cinefilo irriducibile, che si possa trattare di una variante di quanto visto nell’ingiustamente dimenticato The program, diretto nel 1993 da David S. Ward.
Come testimonia il momento in cui i due protagonisti fuggono quasi del tutto svestiti da un lussuoso negozio di abbigliamento, però, la oltre ora e mezza di visione in questione non manca affatto di ironia e tende tutt’altro che ad immergersi nel dramma; tanto che perfino la scelta di non spingere sul pedale del pessimismo da horror che ci si sarebbe aspettati nel comunque azzeccato ed inaspettato epilogo rivela in maniera evidente la volontà di rimanere dalle parti della commedia per ragazzi. Commedia che, con la veterana Juliette Lewis presente nei panni della madre di Vee, potremmo quasi definire una risposta 2.0 a quello che fu il cinema del compianto John Hughes, autore di Sixteen candles – Un compleanno da ricordare e Breakfast club.
Infatti, se da un lato in situazioni come quella del bacio sulle note della sempreverde Since I don’t have you degli Skyliners – oltretutto consumato in un locale che sembra direttamente uscito da Nightmare 4 – Il non risveglio – si respira una certa aria anni Ottanta, complice anche la bella fotografia trasudante colori caldi a cura di Michael Simmonds, dall’altro la messa in scena non manca di riferimenti alla comunicazione multimediale d’inizio terzo millennio, tra messaggi in sovrimpressione e soggettive di apparecchiature di ripresa.
Del resto, avevano già avuto modo di sfruttare la tecnica del pov tramite il terzo e quarto capitolo della serie Paranormal activity i due registi Henry Joost e Ariel Schulman, i quali sembrano in questo caso guardare alla frenesia di determinati lavori di Mark Neveldine e Brian Taylor, dal dittico Crank a Gamer.
Anche se, fortunatamente, facendo ricorso ad uno stile meno schizofrenico e caotico, consentendo addirittura di lasciar emergere una musicalità d’insieme da questo movimentato, strano oggetto del desiderio capace di intrattenere a dovere lo spettatore fornendo, allo stesso tempo, una tanto pungente quanto intelligente analisi del seducente potere esercitato dai social media.