Parasitic twin: l’esordio horror di Zamarion

Ogni famiglia ha un segreto e il segreto è che non è come le altre famiglie”.
È questa frase dello scrittore e drammaturgo britannico Alan Bennett ad aprire Parasitic twin, primo lungometraggio – a quanto pare liberamente ispirato a una storia vera – del Claudio Zamarion che vanta una lunga esperienza come direttore della fotografia, soprattutto al servizio di Carlo Vanzina, da South Kensington a Un’estate ai Caraibi.

Una vicenda che prende il via da un gruppetto di ragazze cresciute in un orfanotrofio e legate da un patto di sangue stretto da bambine, tra le quali rientra Jana alias Francesca Pellegrini, all’interno del cui corpo sta crescendo qualcosa di misterioso che cerca di venire alla luce in un luogo fuori dal tempo: un’isola dove si avventurano e dove si trova Doris, ovvero Doris Nite, donna condannata all’esilio perpetuo da una maledizione dopo aver estirpato il suo gemello parassita.

Un aspetto, quest’ultimo, che nella testa dell’horrorofilo incallito non può fare a meno di richiamare alla memoria il cult dello splatter Basket case di Frank Henenlotter, a differenza di cui, però, la oltre ora e venti di visione in questione non sceglie come ambientazione squallidi sobborghi a stelle e strisce, bensì splendidi paesaggi a base di boschi, grotte e corsi d’acqua dove le protagoniste non mancano di denudarsi di continuo, man mano che si trovano a fare i conti con il senso di abbandono, ovvero il loro peggiore incubo.  

E da qui, tra erotismo più o meno emergente dalle dominanti ma poco eccitanti situazioni senza veli e la sinistra e minacciosa figura di Doris impegnata a convincere Jana a sacrificare le sue compagne di viaggio perché la profezia possa compiersi e la creatura che le deturpa il corpo prenda finalmente vita, ciò che gradualmente prende forma è un’operazione di sicuro curata nelle immagini (inutili gli elogi alla fotografia, considerando chi si trova dietro la macchina da presa), ma decisamente fiacca, confusa e che, oltretutto penalizzata da un doppiaggio che lascia molto a desiderare, non si riesce a capire dove voglia andare a parare.  

Perché non sono sufficienti un look internazionale e visioni improvvise atte a far balzare lo spettatore dalla poltrona a reggere l’intera durata di un insieme talmente povero di contenuti da spingere quasi a pensare si tratti di uno short forzatamente dilatato.