Petit paysan – Un eroe singolare, la discesa agli inferi di un allevatore tradizionale

Il cinema francese riesce sempre a stupire gli spettatori, che si tratti di commedie, drammi, noir o film d’animazione poco importa, perché l’abilità che possiedono i nostri cugini d’oltralpe nel raccontare con originalità e delicatezza i più svariati temi è senza dubbio encomiabile. Nel caso di Petit paysan – Un eroe singolare, opera d’esordio del trentatreenne Hubert Charuel, l’apprezzamento è poi ancor maggiore, dato che il regista ha scelto di narrare una storia ben distante da quelle in circolazione nell’attuale panorama cinematografico.

Protagonisti assoluti di questo toccante lungometraggio sono l’allevatore Pierre e i suoi animali, per l’esattezza 26 mucche destinate alla produzione di latte a cui egli è unito anima e corpo. Nella fattoria di Pierre la qualità ha la precedenza sulla quantità, e il benessere delle sue bestie viene sempre al primo posto. Per questo motivo quando un’epidemia vaccina colpirà la sua mandria, il giovane fattore, oltre ad inventarsi un sistema per non farla abbattere, dovrà anche imparare a confrontarsi con la burocrazia sanitaria e con la dura realtà che lo circonda…

Charuel preferisce dunque allontanarsi dalle luci sfavillanti delle metropoli per concentrarsi sulla concretezza del mondo rurale tradizionale dove la quotidianità è scandita da una disciplina ultra rigorosa che non ammette deroghe: quella di accudire le bestie, mungerle, portarle al pascolo, abbeverarle e aiutarle a partorire è una missione che va svolta quasi come fosse un sacerdozio. E proprio alla stregua di un Pastore di Dio, Pierre conduce una vita solitaria, un’esistenza in cui l’amore verso le sue bestie diviene ossessione e tormento. Egli si sente appagato solo quando è con le sue vacche, tollera le persone ma rifugge la loro compagnia. Questo forte richiamo realistico verso le atmosfere contadine non ha però impedito al filmmaker francese di trasformare il suo lavoro in un thriller psicologico, innalzando l’asticella della suspense minuto dopo minuto Charuel raggiungerà infatti l'inatteso risultato di tenere gli spettatori col fiato sospeso fino all’ultima sequenza.

Il perfetto equilibrio tra alcune scene prettamente naturalistiche e altre pregne invece di tensione è il vero asso calato dal cineasta sul tavolo da gioco dell’originalità. Ed è così che la nascita di un vitello diventa preludio di un eccidio e metamorfosi di un uomo retto in un incolpevole assassino, e la bucolica solitudine si tramuta in angosciante discesa agli inferi. Petit Paysan, nonostante possa rievocare nella trama lo splendido Rams dell’islandese Grímur Hákonarson, oppure Il medico di campagna di Thomas Lilti e Saint amour di Benoît Delépine e Gustave Kervern che mostrano entrambi quella parte di Francia legata a un mondo che sta via via sparendo, è da considerarsi comunque una pellicola innovativa tanto nei contenuti che nella struttura narrativa. D’altronde, Hubert Charuel proviene da una famiglia di allevatori, e l’idea di realizzare questo film è nata dal suo vivido ricordo del terribile evento denominato “mucca pazza”, chi quindi meglio di lui avrebbe potuto descrivere le sofferenze di Pierre (interpretato dal sorprendente Swann Arlaud) in modo tanto veritiero?

Commovente, spiazzante e a tratti disturbante, Petit Paysan – Un eroe singolare è un gioiello inaspettato, una piccola perla filmica che si è meritatamente aggiudicata tre Premi Cèsar. Che dire se non... vive le cinéma français?