Risorto

“Mi piaceva l’idea di Kevin che avrebbe dato al nostro pubblico la possibilità di sperimentare qualcosa di antico e sacro in un modo nuovo di zecca. L’approccio di Kevin dà l’opportunità di immedesimarsi in Clavio, un soldato romano scettico, confuso da tutta l’eccezionalità dei fatti che accadevano in Giudea. Non si mette alla ricerca del corpo di Cristo per proseguire la sua missione politica o religiosa: esegue semplicemente degli ordini”.

Mickey Liddell sintetizza così le motivazioni che lo hanno convinto a produrre il ritorno del veterano Kevin Reynolds alla regia per il grande schermo, a dieci anni dal Tristano & Isotta (2006) che ebbe per interpreti principali James Franco e Sophia Myles.

Ritorno che apre all’insegna del movimento e della ferocia – ma senza apparire eccessivamente esplicito – per inscenare la crocifissione di Yeshua (nome ebraico di Gesù), ovvero Cliff Curtis, e dare il via ad un vero e proprio poliziesco d’ambientazione storico-biblica.

Perché, anziché ripetere pedissequamente la formula adottata da lavori analoghi quali Il re dei re (1927) di Cecil B. DeMille e La passione di Cristo (2004) di Mel Gibson, la oltre ora e quaranta di visione sceglie l’inedita strada delle indagini portate avanti dal potente tribuno militare romano Clavio alias Joseph Fiennes per risolvere il mistero di ciò che è accaduto al corpo scomparso in seguito alla sua morte, smentire le voci che il Messia sia risorto ed evitare una rivolta a Gerusalemme.

Del resto, non solo l’interprete di Shakespeare in love (1998) – qui affiancato da Tom Felton nei panni del suo aiutante Lucio – ha studiato i combattimenti dei gladiatori con i migliori artistici acrobatici italiani per rendere più autentiche possibile le scene di battaglia, ma pare abbia trascorso anche del tempo al fianco di un detective della polizia al fine di imparare le tecniche di un interrogatorio.

E, man mano che arriva ad un bivio dove ipotizza la possibilità di una realtà differente da quella in cui ha sempre creduto e che fanno la loro entrata in scena sia gli Apostoli che la ex prostituta Maria Maddalena, con le fattezze di María Botto, risulta non poco evidente il tentativo di mantenersi su un piano capace di rendere il tutto più realistico possibile.

Aspetto confermato anche dal pochissimo utilizzo di CGI, ma che, in mezzo a ritrovamento della Sindone ed affascinante ambientazione garantita dalle scenografie offerte da Spagna e Malta, va curiosamente a perdersi in derive dai toni fantasy (quasi da pellicola da visionare a catechismo) durante la fase conclusiva dell’insieme.

Rappresentando soltanto una delle pochissime pecche di un percorso in fotogrammi verso la fede che prende lentamente forma senza annoiare, individuando i suoi maggiori pregi nell’interessante rapporto tra i diversi personaggi e nel generale look da non esaltante ma neppure disprezzabile film appartenente alla vecchia scuola.

Scuola da cui, appunto, proviene colui che si trova in questo caso dietro la macchina da presa e che non intende dire agli spettatori in cosa devono credere, bensì convincerli che possono utilizzare il lungometraggio come motivo per riflettere sulla propria spiritualità... o, semplicemente, godersi la storia da un punto di vista prettamente cinematografico.