Sieranevada

Dall’anno 2001 dell’esordio con Stuff and Dough, un on the road acerbo e polveroso ma che veicolava già molto bene il realismo e il senso di smarrimento adottati dal suo sguardo di regista, Cristi Puiu ha fatto parecchia strada
In mezzo ci sono stati altri quattro titoli, tra cui il collettivo I ponti di Sarajevo e il premiatissimo La morte del signor Lazarescu. Nel 2016, Puiu porta in concorso al Festival di Cannes (in sfarzosa rappresentanza per la Romania con il collega Cristian Mungiu) Sieranevada, un’opera fiume di ben 173 minuti che spiazza sin dal titolo, ovvero un riferimento vuoto, privo di significato a una storia invece densa di cose, persone, particolari

Figlio dei film della grande attesa, momenti di ritrovo dove è la vita nei suoi particolari di solito trascurati e trascurabili a fare da protagonista, Sieranevada è un momento comico e drammatico di prossimità fisica tra i numerosi componenti di una famiglia intenta a celebrare i 40 giorni dalla morte del ‘capofamiglia’. Riti, rituali, tradizioni, ma anche politica, polemiche, tradimenti sofferti e dichiarati vanno in scena tra le mura di una casa, attorno a una tavola che attende ansiosa di essere imbandita e ospitare il suo ‘pranzo’, che si procrastina invece come un miraggio (lo stesso miraggio che in Stuff and Dough ‘intratteneva’ senza mai far arrivare i suoi protagonisti). 

In un film fatto di parole, sospensioni, ritagli di conversazioni che si inseguono lungo il profilo dei corridoi e dietro le porte aperte e chiuse senza sosta, ciò che va in scena è la densità dell’estemporaneo, un momento dove tutto ciò che è vita vera prende il sopravvento sulla forma, sul montaggio, sulla cronologia degli eventi. Eppure, all’interno di un coacervo di piccoli avvenimenti e nella schizofrenia di una coralità frammentaria, emerge nitido il percorso di un’opera che in un gioco di specchi e matrioske sintetizza le enormi controversie di una famiglia, una società, un mondo. C’è chi piange, chi ride, chi odia i comunisti e chi i capitalisti. C’è chi è stato tradito o chi ha tradito. Tutti, però, si muovono insieme e all’interno dello stesso perimetro casalingo e le loro voci sono destinate – prima o poi – a scontrarsi o sovrapporsi, coordinarsi o annullarsi.

Romania oggi, un miscuglio di sogni infranti e nuove speranze. Tutto questo racchiude con mirabile maestria il Sieranevada di Cristi Puiu, quasi tre ore di lunghi piani sequenza, dialoghi incalzanti, parentesi che si aprono e si chiudono senza seguire l’ordine della messa in scena, ma guidate piuttosto dal disordine e dalla confusione della vita vera. Ed è in questa forte aderenza al realismo, questa capacità di catturare il reale, che l’opera di Puiu genera nello spettatore una capacità di empatia fenomenale

Trascinati di peso all’interno e nel vivo di quest’infelicità domestica (parafrasando Lev Tolstoj) diventiamo anche noi parte delle congetture, argomentazioni, dei confronti e piccoli arabeschi narrativi che animano quest’opera. Dalla ragazza ubriaca, al qui pro quo del parcheggio, passando per la sfilza di incombenze che via via si generano in un rendez vous familiare graffiante e dinamico come tanti, anche noi diventiamo (per quelle quasi tre ore, ma forse anche molto di più) parte di Sieranevada, affresco sfuggente e disfunzionale dello stare insieme, tra le stesse mura, a vagare tra micce e bombe di un relazionarsi che è sempre e in ogni caso ‘deflagrante ’.