Spencer: Lady Diana secondo Pablo Larraín

E' difficile dare un giudizio del film di Pablo Larraín, dedicato alla amatissima Lady Diana, la principessa triste, come era stata soprannominata. Una donna che i sudditi e le persone degli altri paesi hanno sempre apprezzato per il suo impegno con i più bisognosi, per i suoi look, per la dolcezza e la malinconia del suo sguardo.
Una donna che avrebbe potuto avere tutto e che ha ricevuto ben poco, perdendo la vita in un tragico incidente e lasciando il mondo sgomento e addolorato.
Difficile perché chi ha conservato il ricordo amabile, malinconico ed estremamente raffinato della Principessa del Galles, si scontrerà con alcuni aspetti che, volutamente o meno, aveva nascosto sotto il famigerato tappeto, come si fa con la polvere, come si fa quando non si vuol vedere.

Il regista, che con Jackie – impersonata da Natalie Portman - aveva ritratto in maniera intima e autentica la moglie di John Fitzgerald Kennedy, nei giorni successivi al suo assassinio a Dallas, con Spencer opta per una ricostruzione immaginaria, basata principalmente su una serie di confessioni che Diana fece durante una celebre intervista del 1995 sulla BBC.
E si orienta, complice la sceneggiatura di Steven Knight, su una regia dal tocco autoriale che, alle vicende narrate, accosta un esercizio di stile votato a virtuosismi di vario tipo.

E' Natale del 1991 e la crisi tra Carlo e Diana è ormai palese, come palese è la relazione del futuro re con Camilla Parker Bowles. Diana ne soffre ma la regina ha organizzato quattro giorni di festeggiamento nella splendida tenuta di Sandringham House e si prospettano appuntamenti ben precisi ai quali presenziare, abiti diversi da indossare in ogni occasione, nonché una puntualità sacra da rispettare. Solo che i protocolli di corte a Diana vanno stretti, il dolore per la crisi coniugale la attanaglia ed è così che ci viene restituito il ritratto di una principessa prossima all'esaurimento nervoso, che dà continuamente di stomaco per lo stress, che inizia ad avere allucinazioni e addirittura immagina Anna Bolena al suo fianco, che le salva la vita mentre sta per lasciarsi cadere dalla cima di una grande scalinata.

Una pillola amara da mandare giù perché chi ha amato Diana si sentirà sicuramente ferito da questo ritratto poco benevolo. Tuttavia fu proprio lei a raccontare di bulimia ed autolesionismo e per quanto doloroso, il regista ha optato per una versione più completa, in cui Lady D. venisse rappresentata in tutta la sua dolcezza e gentilezza – si percepiscono nel modo in cui si rivolge alla fidata costumista, interpretata da Sally Hawkins – ma anche nella sua grande fragilità.

Come a rimarcare la drammaticità della scelta di Diana di lasciare suo marito e del suo tormento interiore, il film è accompagnato per tutta la sua durata da una musica grave e cerimoniosa che tende a soppiantare i dialoghi, talvolta tremendamente diradati, mentre le immagini, cupe al momento degli incubi e fin troppo luminose e sovraccariche di angoscia quando la protagonista è la campagna inglese, mirano a raccontare l'idea di pressione e sottomissione. Lo spettatore, frastornato dal continuo oscillare tra sequenze oniriche e reali, come se la schizofrenia si fosse impadronita della narrazione, si ritrova dunque a vedere un prodotto autoriale in piena regola: intenso, ricercato ed esteticamente potente ma al tempo stesso estremamente controverso. La sequenza in cui Diana mastica le perle della sua preziosa collana, regalata da Carlo anche a Camilla, è emblematica.

Kristen Stewart, Candidata all'Oscar per la sua interpretazione, non somiglia tanto a Diana nei lineamenti quanto nel portamento, tanto che una delle vere guardie del corpo della principessa ha dichiarato che la sua è stata la performance migliore vista fino ad ora e che l'attrice americana ha reso alla perfezione i manierismi di Diana. La Stewart, dal canto suo, sebbene mantenga espressioni e movenze che ha fatto sue fin dai tempi della Twilight Saga e che non sembra voler abbandonare, ha visto tutta la serie The Crown e si è allenata per sei mesi per rendere al meglio l'accento british. Su suggerimento dello stesso Larraín, ha anche visto il film di John Cassavetes, Una moglie, nel quale Gena Rowlands andava pian piano incontro ad un esaurimento nervoso, lo stesso che sembrerebbe colpire Lady Diana durante il famigerato Natale del 1991.

In un mondo in cui il futuro sembra non esistere, in favore di un passato che si è letalmente fuso con presente, Diana rifugge da tutti i cerimoniali che richiede la vita di corte, inclusa la prova del peso prima e dopo ogni pranzo. Il ritratto che ne restituisce il regista spagnolo è amaro, senza ombra di dubbio, ma la sequenza finale, con la principessa che canta spensierata insieme ai suoi figli, mentre guida una decappotabile, allontanandosi dalla prigione dorata di Sandringham House, rende perfettamente l'idea di quella felicità che solo nei suoi figli, Diana Spencer, riuscì a trovare.

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