The blind king

Il nome di Raffaele Picchio, probabilmente, non dirà nulla al grande pubblico, ma, senza alcun dubbio, lo ricordano bene gli addetti della Commissione di revisione cinematografica che negarono il rilascio del nulla osta alla sua opera d’esordio Morituris, proibendogli, di conseguenza, di uscire nelle sale nel 2012 come previsto.

Un vero peccato, considerando che, ciò che i censori non mancarono di ritenere un saggio di violente perversioni misogine e sadismo gratuito offensivo nei confronti del buon costume, può essere tranquillamente annoverato, in realtà, tra le migliori produzioni horror indipendenti d’inizio XXI secolo grazie al suo funzionale miscuglio di rape & revenge e sanguinari gladiatori dell’antica Roma resuscitati ai giorni nostri come spettri massacratori.
Funzionale miscuglio da cui, tra l’altro, proviene la Désirée Giorgetti che ritroviamo anche in questa seconda fatica del regista, prodotta dai Marco Ristori e Luca Boni autori di Eaters e Zombie massacre.

Fatica che si distacca completamente dal genere a base di torture e splatter in cui rientrò la precedente e che vede la giovane attrice nei panni di Susan, sorella del protagonista Craig che, interpretato dall’Aaron Stielstra di Apocalisse zero: Anger of the dead, reduce dall’improvviso suicidio della propria compagna si trasferisce in una nuova casa insieme alla figlioletta Jennifer alias Eleonora Marianelli.

Figlioletta che ha smesso di parlare da quando avvenne la tragedia e che, come vuole la tradizione del cinema di paura d’inizio terzo millennio in cui rientrano Babadook e simili, non manca di essere tormentata da incubi e da un’inquietante figura nera che comincia a popolare presto anche i sogni del padre, minacciandolo proprio di portargli via la bambina.
Figura, se vogliamo, kruegeriana nel modo di manifestarsi, ma che, caratterizzata da bende sul volto mostruoso e catena posta attorno al collo, non avrebbe certo sfigurato nell’universo hellraiseriano di Clive Barker, la cui influenza si lascia avvertire in diversi momenti dell’operazione.

Man mano che l’uomo si mostra sempre più deciso ad affrontarla e che, con le buone prove sfoderate dai diversi elementi del cast a rappresentare uno dei maggiori pregi della circa ora e mezza di visione, il cineasta romano rivela ancora una volta padronanza del mezzo tecnico.

Pur dovendo fare i conti con l’eccessiva verbosità che scandisce i lenti ritmi di narrazione del tutto, rischiando di rendere soporifera la consueta lunga attesa che, però, conduce alla concretizzazione di una non originalissima ma interessante allegoria da schermo evidentemente relativa a molti fatti di cronaca nera a base di soprusi familiari e femminicidi.