The Post: Giornalisti in trincea

Un grande open space ingombro di scrivanie, attività frenetica, ticchettio di macchine da scrivere, telefoni che squillano, uffici con vetrate destinati ai responsabili… dove ci troviamo? Naturalmente, siamo nella redazione di un giornale americano, precisamente, siamo nella redazione del Washington Post.
Quei locali, quelle inquadrature, quei personaggi, quelle movenze, quante altre volte le abbiamo viste? I film che raccontano storie di giornalisti coraggiosi rappresentano ormai a tutti gli effetti un genere. Ed anche in "The Post" si racconta la vicenda di giornalisti – ed editori - senza paura e senza macchia.

Siamo nel 1971 e alcuni giornali – tra cui il Post – vengono in possesso di un copioso dossier di informazioni che testimoniano la decennale copertura governativa di informazioni riguardanti il conflitto in Vietnam, che confermavano i rischi di una probabile sconfitta con conseguenti perdite umane nel Sud-Est asiatico. La battaglia che si instaura tra establishment governativo e giornali è cruenta e si concretizza nell’inibitoria giudiziale a carico di un altro giornale concorrente a pubblicare quelle informazioni. Di fronte a questo provvedimento si pone il dubbio se procedere o meno alla pubblicazione, rischiando in tal modo conseguenze anche di carattere penale.

Al centro del vortice che si scatena ci sono Katherine Graham – principale azionista del giornale – e Ben Bradlee, caparbio direttore della testata. In mezzo a loro, uno stuolo di comprimari, caporedattori, reporter, avvocati, azionisti, pro o contro la decisione se proseguire nell’inchiesta giornalistica. Il conflitto che si scatena non è solo sulla decisione da prendere ma anche e soprattutto su come a questa decisione si addiviene. Ed è in questa dialettica che i due protagonisti (Meryl Streep e Tom Hanks) duettano spendendo di ciascuno le proprie grandi doti di interpreti sublimi. Il delicato equilibrio della coppia rimane sempre in bilico sulla corda dell’eccesso di protagonismo, senza però cadere mai fino al termine di un percorso che lascia pienamente soddisfatti. Ad orientarlo e guidarlo, c’è d’altronde un direttore come Steven Spielberg al quale va riconosciuta anche la capacità di rendere un “clichet” (vedi la domanda posta all’inizio) originale e ricco di spessore. Spielberg conferisce ulteriore nobiltà al genere (il film “giornalistico”), puntando sulla relazione tra i personaggi, che si muovono sullo sfondo del giornalismo combattivo e di trincea. I dialoghi tra di essi diventano la solida cifra connettiva di questo film, che, come ovvio, non è scevro del messaggio militante per tutti i bravi giornalisti del mondo.

"The Post”, è anche un film di costume. Racconta di una società in rapido cambiamento (a testimoniarlo è la donna a capo di un giornale), racconta di un inizio a cui seguiranno altre coraggiose imprese giornalistiche capaci anche di cambiare il destino di una nazione. L’ultima scena, ambientato in un condominio di Washington, chiamato “Watergate”, è anche troppo facilmente esemplare.