Tra la Terra e il Cielo

Esiste un Paese dove coabitano magia, spiritualità, ricchezza, povertà, discriminazione e corruzione, una paradisiaca e infernale patria delle contraddizioni: l’India. Mentre Bollywood racconta questa misteriosa nazione come un mondo fiabesco abitato da principesse, colori caldi, balli e canti, Neeraji Ghaywan, con la sua opera prima Tra la Terra e il Cielo ne fa invece un ritratto drammatico, privo di qualsiasi sfarzoso ornamento: sotto il cielo di Varanasi, meglio conosciuta come Benares, si accavallano le esistenze di vari personaggi con il loro carico di amore, miseria, tradizione e voglia di libertà.   

Nei primi dieci minuti di Tra la Terra e il Cielo il pubblico viene catapultato in una realtà tanto cruda quanto toccante. Attraverso una potente messa in scena iniziale, Ghaywan mostra infatti sia la violenza a cui va incontro chi non rispetta le dure e arcaiche leggi indiane, che l’impossibilità delle donne di reagire a un’imperante misoginia culturale. Sì, perché in una società profondamente patriarcale come quella dell’India, l’eguaglianza tra i sessi è ancora un lontano miraggio. Ma, al di là della disparità sessuale, il giovane regista denuncia aspramente quell’ereditaria, e dunque iniqua, gerarchia delle caste: sistema così radicato nella popolazione induista che né millenni di storia, né il pensiero di Gandhi, sono riusciti ad estirpare. Ecco allora che ai giovani Deepak e Shaalu è vietato amarsi: moderni Romeo e Giulietta contrastati non da faide familiari, ma dalla diversità tra ceti sociali.

La delicatezza con cui Ghaywan racconta questo amore proibito, a tratti quasi infantile, fa esplodere nel cuore dello spettatore una tenerezza infinita, ma la piacevole emozione provocata dai due ragazzi si scontra con il pathos originato dalle immagini dei gaths, le gradinate di pietra che portano al Gange. E’ in questi spazi che ogni giorno centinaia di corpi vengono cremati, ed è qui che l’atmosfera del film si fa cupa e opprimente, con le sponde del fiume sacro che sembrano  trasformarsi nelle rive del mitologico Stige: bolge dantesche dove su immense pire di legno di sandalo ardono resti umani. Ghaywan, però, disegna anche l’altra faccia dei gaths, i luoghi brulicanti di venditori di urne cinerarie, vasi di terracotta e sete raffinate, perché qui morte e vita sono strettamente intrecciate tra loro: morire e vivere, entrambi parte della naturale quotidianità. Grazie anche all’estrema bravura dei protagonisti, e alla splendida fotografia, la commozione e l’empatia con i vari personaggi aumenterà di minuto in minuto, rendendo Tra la Terra e il Cielo un’opera capace di sorprendere, un lavoro di grande poesia.

Ma il cineasta indiano non si limita a mettere il dito nella piaga della corruzione e dell’ingiustizia sociale, pone anche a confronto due generazioni: quella dei giovani, proiettata verso un futuro scevro da assurde imposizioni religiose, e quella dei loro genitori, saldamente legata ai dettami di tradizioni secolari.

Tra la Terra e il Cielo è un imperdibile affresco dell’India odierna, dove il destino di ogni essere umano è segnato già dalla nascita: Brahmino o Intoccabile… almeno fino alla successiva reincarnazione!