Trio d'eccezione in Waiting for the Barbarians

Tratto dall'omonimo romanzo del 1980 di J.M. Coetzee, che ha anche sceneggiato il film, Waiting for the barbarians è la prima pellicola in lingua inglese del regista colombiano Ciro Guerra.

Il progetto, fortemente desiderato dal produttore Michael Fitzgerald, che lo teneva nel cassetto da anni, è stato finanziato dalla casa di produzione italiana Iervolino Entertainment e il film è stato girato tra la regione desertica del Marocco in cui sorge la cittadina fortificata di Ouarzazate e gli studi di Cinecittà a Roma. Ultimato nel 2018, il film è stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia l'anno seguente, arrivando a concorrere per il Leone d'Oro; nello stesso anno è stato nominato per l'Audience Award al San Sebastián International Film Festival e uscirà nelle sale a due anni di distanza, il prossimo 24 Settembre 2020.

La locandina, con il suo trio di grandi nomi bene in evidenza, è di certo molto allettante: Mark Rylance, smessi i panni del GGG, interpreta un funzionario, chiamato “il Magistrato”, che dirige una postazione alla frontiera dell'Impero britannico. E' un uomo buono e giusto, che ha imparato a convivere con le genti del posto – un luogo mai menzionato direttamente che tuttavia, visti i tratti somatici dei personaggi, riusciamo a identificare come la Mongolia.

Johnny Depp, abbandonate le treccine e le collane del suo Jack Sparrow, riveste invece i panni del perfido colonnello Joll: un uomo che estorce presunte verità tramite la tortura e che la strana montatura degli occhiali fa somigliare al terribile giudice Morton di Roger Rabbit. Con il suo arrivo, la pace nel villaggio diventa un misero ricordo.

Robert Pattinson infine, che nel frattempo è guarito dal Covid-19 e presto vestirà i panni del nuovo Batman, interpreta il suo fedele scagnozzo: un ufficiale che, con tanto di sorriso stampato in volto, è capace di bastonare un uomo assai più anziano e di grado superiore rispetto a lui. Per la serie “Dio li fa e poi li accoppia"...o anche li accoppa, nel caso del malcapitato.

Nel bel mezzo del deserto, tra le maestose mura di un castello, il magistrato guida i suoi sottoposti e intrattiene rapporti civili e sereni con la gente del posto, di cui ha imparato anche la lingua. La fotografia, di grandissimo impatto visivo ed emotivo, cattura tanto l'imponenza della costruzione quanto la sua solitudine. Il magistrato infatti, sembra cercare di continuo rapporti umani e quando al castello giunge una barbara - così vengono chiamati gli abitanti delle montagne circostanti - se ne prende cura e, inevitabilmente, se ne innamora. Ma come precedentemente detto, la comparsa sulla scena di quello che a tutti gli effetti può essere considerato il vero barbaro della vicenda – e del momento storico, perché non sfugge di certo l'accusa, neanche troppo velata, alla figura dei colonizzatori – mina la pace costruita e mantenuta fino ad allora e il magistrato, di indole pacata, tenterà di contrastare le ingiustizie con ardore e con immenso coraggio.

La trama è sicuramente interessante perché fa luce sulla tematica delle colonie britanniche e sulla vita di frontiera: la perfetta ricostruzione di ambienti e costumi, immortalata dalla superba fotografia di Chris Menges – vincitore dell'Oscar per il suo lavoro in Mission e Urla del silenziocontribuisce a rendere ancora più suggestive l'ambientazione e la narrazione che, tuttavia, risulta rallentata dai dialoghi fin troppo diradati.

Le riprese in penombra, con la luce delle candele che dona un effetto ora malinconico ora lugubre, sottolineano l'animo del protagonista e il suo tormento interiore; ad esse si contrappongono la luce accecante del deserto e le immagini bucoliche della raccolta delle olive.

Se Mark Rylance si cala perfettamente nel suo ruolo, Depp e Pattinson risultano al contrario eccessivamente impostati e poco espressivi ma quest'ultimo, diamogliene atto, ha fatto grandi progressi rispetto alla Twilight Saga con cui aveva mietuto vittime di ogni età, pur non risultando particolarmente incisivo.

Suggestivo, a tratti brutale, a tratti malinconico. Con un ritmo più incalzante e dialoghi più serrati, sarebbe stato perfetto.

 

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