Un Mercoledì di Maggio

Alla base di tutto abbiamo uno strano annuncio pubblicitario particolarmente originale che, pubblicato un mercoledì mattina sulle pagine di un giornale di Teheran, pare sia stato messo da un certo Jalal, intento a regalare un’ingente somma di denaro alle persone che dimostrano di averne veramente bisogno. Annuncio che, ovviamente, non può fare a meno di attirare davanti all’ufficio dell’individuo – cui concede anima e corpo lo scrittore, pittore e fotografo iraniano Amir Aghaei – una piccola folla di persone comprendenti, tra gli altri, Setareh e Leila, rispettivamente incarnate dalla esordiente Sarah Ahmadpour e dalla Niki Karimi di The bride (1990).

La prima adottata dalla famiglia della zia e ostacolata nel suo desiderio di sposare un uomo diverso dal cugino, necessita dei soldi per far uscire di prigione il fidanzato, ingiustamente accusato proprio di aver ferito il parente nel corso di un litigio; la seconda, invece, un tempo compagna di Jalal prima che la lasciasse senza una spiegazione, vive una vita miserabile ai limiti della sopportabilità.

E sono loro le protagoniste femminili di un affresco di umanità dolente ed abbandonata a se stessa che, in lotta disperatamente in una città dove la vita ha ormai raggiunto livelli di opulenza occidentale, il cineasta classe 1976 Vahid Jalilvand intende concretizzare tramite il lavoro che ne segna il debutto nel lungometraggio di finzione, nelle sue parole “dedicato a tutti i Jalal del mio paese, alle persone comuni che cercano la sofferenza negli occhi degli altri e non sono mai riuscite a farsi ascoltare dai governi, dagli uomini di stato, da quelli che hanno il potere per chiedere aiuto, alle persone che non sono mai state indifferenti al dolore negli occhi delle persone”.

Affresco che intende, però, andare oltre l’aspetto sociologico per scavare nelle ragioni intime che hanno portato il donatore in questione all’estremo gesto che, soprattutto nel sempre più avido mondo d’inizio terzo millennio e in un paese dove Dio ha elargito i suoi doni in abbondanza e ricchezza di cui molte persone non possono comunque godere, potrebbe risultare credibile soltanto nell’universo delle favole.
Perché, forse, proprio come favola realistica potremmo classificare la oltre ora e quaranta di visione, critica alla società e alla maniera in cui è governata, ma, allo stesso tempo, tributo all’essere umano che si sente parte di essa e soffre.

Critica che, in ogni caso, appare più interessante per l’evoluzione della storia che la racchiude che per la maniera piuttosto piatta e poco coinvolgente in cui viene inscenata... sebbene il film abbia trionfato presso il Festival di Fajr 2015 di Teheran e, nello stesso anno, abbia ricevuto il premio FIPRESCI nella sezione Orizzonti della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.