Una Luna chiamata Europa: Il tema dell’immigrazione clandestina rielaborato tra sacro e “profano”

Il giovane Aryan sta attraversando illegalmente il confine ungherese quando viene ferito da un colpo di proiettile e cade a terra inerme. Si rialzerà poco dopo per apprendere, sbalordito, di aver acquisito la capacità di levitare a comando. Lo stazionamento nel campo profughi e il successivo incontro con il dottor Stern, medico popolare e traffichino determinato a sfruttare la dote unica del giovane, lo infileranno in un circuito di interessi e corruzione che si anima tanto all’interno delle istituzioni pubbliche (nello specifico l’ospedale), quanto per le strade di una città che sembra vivere in un febbrile anonimato. Partendo dalla luna di Giove cui è stato dato il nome della nostra ‘dolorante’ Europa, il regista ungherese Kornél Mundruczó sfrutta il miracolo della levitazione per parlare di un tema più che mai scottante, ora, nel nostro continente, dove vige il braccio di ferro tra chi ancora tenta d’applicare politiche umane e d’accoglienza e chi come l’Ungheria o la nostra Italia è determinata a issare barriere di confine invalicabili.

Ma il film di Mundruczó osserva in particolar modo anche quel circuito vizioso di corruzione a cui tutto deve piegarsi, dall’assistenza medica fino all’ospitalità alberghiera passando addirittura, infine, per le relazioni umane e i ‘sentimenti’. Anche se poi in quella capacità di librarsi in volo al comando, è come se il regista trovasse il modo, attraverso il protagonista Aryan, per guardare con distacco a questa realtà di ricatto e mercificazione della vita umana. Tutto ruota frenetico attorno alla necessità di trovare sempre e comunque una via di fuga e, dunque, il miracolo del volo assume in questo senso il valore perfetto per osservare con distacco fisico ancor prima che mentale ai demoni della propria società.

All’interno di un surrealismo sci fi che si muove tra terra e aria, il regista ungherese parte dunque da una contestualizzazione oggettiva e contemporanea (il tema delle migrazioni e dei clandestini) per cercare poi un punto di volta molto più poetico, allegorico, universale, che si sviluppa e si determina attraverso i concetti di miracolo, redenzione, riscatto.

Bello tanto nell’approccio quanto nel valore ideologico che cerca di cavalcare, Una luna chiamata Europa risente però di una doppia marcia, come se restando in bilico tra sacro e profano non riuscisse a cogliere appieno la sua identità. Mundruczó rincorre una dimensione allegorica che la sua regia riesce ad afferrare solo a momenti, determinando di fatto un gap tra forma e contenuto che inficia almeno in parte la sua opera.