Venezia 74: Guillermo del Toro incanta il Lido con The Shape of Water

Dopo un’apertura fiacca con il Downsizing di Payne, il secondo giorno di Venezia 74 regala il suo primo grande sì e il suo primo applauso fragoroso con lo splendido film di un ritrovato Guillermo del Toro. Il suo The Shape of Water vanta infatti non solo un titolo assai suggestivo a rievocare il magico mondo dell’acqua, ma soprattutto una serie di qualità che lo rendono prodotto di intrattenimento e riflessione quasi perfetto sotto molteplici punti di vista.

Una eterea e poetica (nonché bravissima) Sally Hawkins veste i panni di Elisa, una timida ragazza rimasta muta a seguito di un trauma infantile, e che ha come unici due amici la sua logorroica collega e un estroso artista in là con gli anni. Lavora come donna delle pulizie presso un grande stabilimento di ricerca scientifica americana dove sono attualmente impegnati nello studio di una strana e misteriosa creatura acquatica, a metà tra uomo e anfibio. Reclusa nelle grandi cisterne dell’edificio, la creatura esercita sul mondo circostante e sulla stessa Elisa un duplice effetto di attrattiva e paura. Eppure, quel senso d’isolamento indotto e lo status di creatura ‘diversa’ saranno d’altro canto proprio ciò che spingerà la timida ragazza a curiosare in giro per scoprire chi è davvero la creatura che si cela tra quelle mura e che in tanti descrivono con terrore .

Una storia bella, addirittura toccante, che fa leva su quel senso di vicinanza che da sempre accomuna chi si sente trattato da ‘diverso’, ‘incompleto, fuori dagli ‘schemi’. The Shape of Water, ovvero la forma dell’acqua - nel nesso allegorico che rimanda a un elemento di fatto senza forma, e nello stesso tempo in grado di assumere  mille forme e dunque estremamente adattabile alle circostanze- costruisce attraverso le mille gocce di un immaginario visionario lo splendido quadro di un affetto (anzi di più affetti) nati all’ombra della diversità, e nel dolore dell’esclusione. Nell’atmosfera inquisitoria di un’America attraversata dalla Guerra Fredda, la dolce Elisa diventa capitano di una brigata di eroi per caso, lanciati a perdifiato nella sfida della giustizia, del fare la cosa giusta, uniti nella volontà di voler comprendere l’altro al di là delle apparenze, o dell’immagine di superficie che lo specchio ne rimanda.

Vecchiaia, dolori, mancanze, similitudini, differenze, si mescolano con e attraverso i protagonisti del film per formare insieme i tanti colori di uno stesso acquarello, a formare quel quadro poetico e astratto che è la vita con le sue mille sfumature. Amicizia, amore, e senso di solidarietà navigano a braccetto e dentro i fondali vividi in cui Del Toro ci immerge sin dalla prima – bellissima - scena del film, lasciandoci a galleggiare estasiati tra mobilio ed emozioni.

Splendido dal punto di vista visivo, ottimamente recitato da un cast in cui spicca la Hawkins ma non sfigura nessuno dei comprimari (Michael Shannon, Doug Jones, Michael Stuhlbarg, Octavia Spencer, Richard Jenkins solo per citarne alcuni), e ben organizzato sul fronte narrativo, Guillermo del Toro regala una nuova voce a una fiaba antica, ammoderna il tema dell’incontro stemperando l’oscurità con l’amore. E proprio in questo, ovvero nella capacità di dare luce a una storia fondamentalmente dark, che il regista messicano trova il gancio per trascendere le aspettative, appaiare il contenuto alla forma, e rendere poetico un racconto in partenza tutto sommato ‘convenzionale’.