Where to invade next

Quel geniaccio di Michael Moore è tornato. Con un film intelligente e ironico, e già il titolo è tutto un programma. 
Il suo Where to Invade Next (ovvero chi invadere per prossimo), presentato fuori concorso alla 66a Berlinale, è forse uno dei film più riusciti, apprezzati, interessanti e (soprattutto) divertenti che si siano visti a questa edizione del festival berlinese. E senza dubbio uno dei più applauditi. 
Da sempre impegnato a ricercare e analizzare le idiosincrasie della società americana, che si tratti dell’abuso di armi (Bowling a Columbine), o del sistema sanitario (Sicko), o ancora del sistema capitalistico tout court (Capitalism: A Love Story), con Where to invade next Moore affronta una nuova impresa sociale e civica. 

Addentratosi in un viaggio attraverso l’Europa dei ‘talenti’, il vagare di Moore sarà infatti contraddistinto da un unico obiettivo: quello di ‘invadere’ alcune nazioni del continente europeo per rubare segreti, attitudini, know how da riportare poi in patria americana e (auspicabilmente) mettere in pratica. 
Attraverso l’Italia garantista (di un tempo, è il caso di dirlo) dei tanti giorni di vacanze e ferie pagate, la Francia della cultura alimentare (le patatine sono french fries ma nelle loro scuole vengono servite solo due o tre volte l’anno), la struttura avanguardista delle prigioni norvegesi (luoghi in cui la condizione di prigionia sembra sottrarsi al concetto di orrenda privazione) e quella delle scuole slovene (università libere e gratuite per tutti), e perfino l’alto tasso di quote rosa della società islandese, il celebre documentarista farà tappa in qui luoghi dell’Europa che a suo dire sembrano avere un talento, qualcosa da insegnare alla ‘cugina’ America. 

Piantando di volta in volta la sua bandiera a stelle e strisce e portando avanti il suo percorso di invasioni a tema organizzativo-culturali Moore evidenzia così le eccellenze dell’Europa in cui viviamo (percorrendo ovviamente una traiettoria ad alta selezione che prende solo il meglio lasciando accuratamente da parte il peggio) e di cui dovremmo (e dovrebbero) fare tesoro. Ma, in fondo in fondo, non è che poi alcune di queste idee erano proprio farina del sacco americano? 
Un documentario a tesi (e antitesi) dallo stile ironico e graffiante che satirizza il sottotesto negativo della parola ‘invasione’ rovesciandolo al positivo, mutandolo in un’azione pacifica e dal solo scopo ‘educativo’. 
Nello stesso tempo si muove dunque una doppia critica al concetto di ‘conquista’ e a quello dell’incapacità di sostenere attivamente i propri buoni propositi. 
Idee, e stile in questo caso sono tutto, e il buon Michael dimostra davvero e ancora una volta di sapere il fatto suo.