Yomeddine: A.B. Shawky firma un commovente on the road che abbraccia con calore e ‘colore’ tutte le forme di sofferenza

Beshay ha contratto la lebbre da bambino e da allora vive in una colonia di lebbrosi dove lo ha lasciato a suo tempo il padre, promettendogli che sarebbe tornato un giorno  a prenderlo. Ma così non è stato, e Beshay ha vissuto la sua intera vita in quella colonia, nella sola compagnia di persone malate come lui di lebbra, e dove ha incontrato anche la moglie. In seguito alla morte di quest’ultima e privato dunque anche dell’ultima ragione per restare, l’uomo s’incamminerà in groppa al suo asinello Harby in un incerto viaggio alla ricerca di quelle origini che gli sono state sempre negate. Ma non sarà da solo. Anche Obama, il piccolo orfano che Beshay ha preso in custodia,  si unirà alla originale ‘comitiva’ in viaggio.

Dall’Egitto, il regista A.B. Shawky debutta in concorso al Festival di Cannes 2018 con un’opera prima disarmante per la sua semplicità e linearità, ma che racchiude al suo interno uno spettro incredibile di emozioni e sentimenti. Una storia semplice come il percorso di ‘riabilitazione’ e scoperta del mondo circostante che il protagonista Beshay farà con i suoi due ‘amici’, dopo aver lasciato la colonia di lebbrosi  dalla quale non era mai uscito prima.

Shawky accompagna i suoi due protagonisti con affetto e partecipazione, accordando alle loro avventure e disavventure quella leggera ironia di sottofondo che permette di stemperare il lato più tragico della storia, di renderlo ‘accessibile’ un po’ a tutti, e mai troppo patetico. Quasi estrapolati da una dimensione fiabesca, Beshay e il piccolo Obama, così ribattezzato per la somiglianza con “quello della tv”, affronteranno il loro viaggio come due piccoli don Chisciotte alle prese con i tanti mulini a vento del rifiuto del ‘diverso’. Alla ricerca di un po’ di umanità, o semplicemente di qualcuno con cui condividere la loro storia, i due sapranno però sempre rialzarsi in piedi, nonostante l’ostilità esercitata nei loro confronti dal  mondo dei ‘normali’ che li circonda. Rifiutato per il suo aspetto ‘malato’, Beshay dovrà in più di un’occasione gridare e ricordare al mondo il suo esistere. Eppure, nella loro unione, temprata dalla costanza dell’affetto incondizionato che li unisce, troveranno infine la forza per portare a compimento la loro missione.

Un’opera estremamente accessibile fondata su valori universalmente condivisibili, come quello dell’accettazione dell’altro, sempre e comunque. Un film a cui tutti dovremmo ispirarci per essere in grado, all’occorrenza, di tendere una mano a chi, ogni giorno, compie non senza fatica e smarrimento il proprio viaggio di riscatto nel mondo.