28 Gennaio 2017    17:03

Allegra Palu

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IRRATIONAL MAN- WOODY ALLEN

Abe Lucas (Joaquine Phoenix), un professore di filosofia in piena crisi esistenziale, si trasferisce nel Rhode Island per lavorare nel college Brailyn. Là conoscerà Rita (Parker Posey), collega con cui inizierà una relazione e Jill (Emma Stone), una studentessa che si innamorerà di lui.

Il professor Lucas, nel corso delle sue lezioni continua a citare Kant e Kierkegaard, Hegel ed Heidegger, ma le teorie vengono espresse con scarsa convinzione, cinica noncuranza e la sua vita sembra oscillare tra dolore e noia come diceva Schopenhauer.

Dopo qualche mese arriva la svolta: i due mentre sono in un bar ascoltano, per caso, la storia di una donna sul punto di perdere l'affidamento dei figli per colpa di un giudice corrotto. Abe trova quindi una nuova ragione di vita nel fare giustizia, decidendo di eliminarlo. Lucas infatti si rende conto che nessuna teoria lo può salvare, l’unica soluzione è l’azione stessa e così trova la sua forza vitale nel caos.

Qualche tempo più tardi, tramite una serie di coincidenze e indizi, Jill intuisce che dietro all'omicidio c'è proprio Abe, e arriva a farlo confessare.

Inizialmente accetta per amore di coprirlo, ma quando si viene a sapere che un innocente è stato accusato del delitto, minaccia di denunciarlo se non si costituirà.

La filosofia, così, che era stata per Abe una grande maestra ora diventa motivo della sua autodistruzione.

Allen affida proprio a lui l’arduo compito di portare sul grande schermo il ‘perchè’ dell’esistenza e dell’umanità ormai disfatta e corrotta.

Woody con ‘Irrational Man’ conclude, in maniera ideale, non dichiarata, la tetralogia ‘Dostoevskji’ iniziata nel 1989 con ‘Crimini e Misfatti’, proseguita nel 2005 con ‘Match Point’ e, nel 2008, con ‘Sogni e Delitti’.

Allen riprende molti elementi tipici del suo percorso da regista e li concilia tutti con abile maestria come solo lui sa fare. La musica jazz: i motivetti, che variano da Paul Eakins a J.S. Bach per finire con Ballou e O’Neal, sono fondamentali durante il corso dell’intero film, addirittura il volume si alza quando parte la musica, quasi ad intendere che sia ancora più importante dei dialoghi o dei movimenti in camera (l’idea del cineasta è, infatti, quella di far cogliere al suo pubblico che ogni volta che si sente l’aumentare della musica sta per succedere qualcosa).

Woody Allen, come nei film precedenti, riesce a creare un’ottima suspance che tiene lo spettatore con gli occhi fissi sullo schermo e resta sempre ambiguo con quale dei protagonisti il pubblico debba identificarsi. Conferma la sua capacità di creare una linea tra bene e male sempre molto sottile e non fa mai tendere nessuno dei suoi personaggi da un parte piuttosto che dall’altra.

Ci si poteva aspettare di più? Sicuramente. Da Woody Allen ci si aspetta sempre il massimo, infatti ad ogni film che esce si accorre nelle sale per vederlo e sperare di restare in qualche modo affascinati. Speriamo di continuare ad esserlo.