The Elevator (2013)

11 Luglio 2019    22:36

Saverio Correnti

5,0   (su 1 voto)

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Un film che ti leva il respiro per tutta la sua durata.

Tra i film visti di recente mi ha molto colpito “The Elevator” del regista Massimo Coglitore. Un film anomalo per il panorama italiano, difatti non sembra di fattura italiana e questo è un pregioo. Prodotto dalla Lupin Film di Riccardo Neri, “The Elevator” è ambientato a New York. Pochi metri quadrati di pura claustrofobia, dove Jack Tramell celebre showman, uomo di potere, icona del benessere americano, viene paralizzato da una donna misteriosa, dentro l’ascensore del condominio elegante dove l’uomo vive. La donna irrompe nella vita agiata dell’illustre uomo, catapultandolo in un incubo ad occhi aperti. Un quiz dentro il film, un game mortale, che Coglitore dirige in modo scintillante avvalendosi di un’ottima recitazione, una splendida fotografia e delle belle musiche. “The Elevator” ha un’energia particolare e non ha nessuna reverenza o ammiccamento anche se lo si potrebbe accostare, per come è diretto, allo stile di Brian De Palma o David Fincher. Una pellicola che ti conquista man, mano che scorrono i minuti, tenendoti attaccato allo schermo per tutta la durata del film. Bravissimi e magnetici i due protagonisti, una straordinaria Caroline Goodall (Schildren List, Hook) e un ammaliatore James Parks (Heahtfuhl Eight, The Son) che si muovono come su una scacchiera virtuale, dove un bizzarro quiz, messo in atto dalla donna deciderà il destino di Jack. Sono tante le tematiche del film e svariati i sottolivelli di lettura. Nel film c’è anche Burt Yuong (il celebre Paulie cognato di Rocky) che interpreta un guardiano sbadato. La regia non è mai statica, le inquadrature sono vive grazie a carrelli e crane che il regista usa con eleganza, sebbene gli spazi siano strettissimi. Coglitore sposta abilmente l’ordine del gioco durante la storia ed inverte più volte le parti, con un forte crescendo drammatico e una carica adrenalinica non indifferente, facendo viaggiare la platea verso un traguardo che solo con l’evolversi della vicenda si presenterà sempre più chiara. Il film scritto da Riccardo Irrera e Mauro Graiani è un viaggio nella paura interiore, con un colpo di scena degno di film come I soliti sospetti. Solo a fine film si può respirare e riflettere su cosa sia realmente avvenuto. Un film di cui si pativa la necessità, un genere, il thriller piscologico, lontano da tentativi italiani che non c'entrano mai il bersaglio, risultando sempre troppo goffi, senza stile, insomma troppo italianoti.