Austerlitz: la riflessione di Sergey Loznitsa sul turismo di massa nei campi di concentramento

Esce in sala, in occasione del Giorno della Memoria l'ultimo film di Sergei Loznitsa, Austerlitz. Il film è un racconto-riflessione sul turismo di massa di oggi nei campi di concentramento, e sarà al cinema da mercoledì 25 gennaio 2017 con la distribuzione di Lab 80 film.

In concorso all'ultimo Toronto Film Festival e presentato anche alla Mostra del Cinema di Venezia, Austerlitz propone un'osservazione dei visitatori dell'ex campo di concentramento di Sachsenhausen, 35 chilometri a Nord di Berlino. Loznitsa, durante una calda giornata estiva, piazza una telecamera ad altezza d'uomo e registra: il percorso turistico che le persone seguono per visitare il campo è lo stesso che facevano i prigionieri di un tempo. Qualcuno passeggia tra i viali delimitati dai dormitori, altri scattano selfie all'interno dei forni crematori, altri ancora consumano il pranzo al sacco sul lastricato che separa la strada dalle fosse comuni.

Eppure Loznitsa non fornisce una lettura semplicistica né giudizi univoci: propone una riflessione vera sul senso della testimonianza e della memoria della Shoah. E induce a chiedersi: cosa farei se il turista fossi io?

Ha detto Sergei Loznitsa: «L’idea di fare questo film mi è venuta perché visitando questi luoghi ho sentito subito una sensazione sgradevole nel mio essere lì. Sentivo come se la mia stessa presenza fosse eticamente discutibile e avrei voluto davvero capire, attraverso il volto delle persone, degli altri visitatori, come ciò che guardavano si riflettesse sul loro stato d’animo. Ma non nascondo di esserne rimasto, alla fine, abbastanza perplesso, 

Ciò che induce migliaia di persone a trascorrere i fine settimana estivi in un ex campo di concentramento è uno dei misteri di questi luoghi della Memoria. Si può fare riferimento alla buona volontà, al desiderio di compassione e pietà che Aristotele collega con la tragedia. Ma questa spiegazione non risolve il mistero. Perché una coppia di innamorati o una madre con il suo bambino vanno a fare visita ai forni crematori in una giornata di sole estivo? Ho concepito questo film per cercare di confrontarmi con queste domande.

Una serie di piani sequenza in campo fisso, fotografati in bianco e nero, che montati l’uno dopo l’altro formano un percorso che è quello del giro turistico prestabilito e indicato da cartelli, guide e audioguide, ma è anche il percorso cui – giorno dopo giorno, sapendo di poter morire da un momento all’altro – erano costretti i prigionieri durante la detenzione. L’impressionante spettacolo va ben oltre il giudizio – facile e scontato – di condanna e di ribrezzo nei confronti delle persone che visitano un luogo di morte, dolore e sofferenza con la leggerezza con cui si visitano una pinacoteca o un sito archeologico. Il disprezzo per il turista che si fa i selfie nei crematori e nelle camere a gas, che si mette in posa per la foto sul palo delle esecuzioni o che passeggia allegro fra i viali delimitati da dormitori, baracche e celle di detenzione e mangia il pranzo al sacco seduto sul lastricato che separa la strada dalle fosse comuni, anche se è la prima e naturale reazione di ogni spettatore, non deve trarre in inganno né condurre a semplicistiche e banali conclusioni su quello che il film dice e mostra.
Siamo proprio sicuri che ci comporteremmo tanto diversamente se fossimo al loro posto?
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Il titolo è ispirato all'omonimo romanzo dello scrittore tedesco W.G. Sebald, pubblicato nel 2001 e dedicato alla ricerca delle proprie origini, e della propria memoria, da parte del personaggio protagonista, Jacques Austerlitz.