Appunti di un venditore di donne – Conferenza stampa

Si è tenuta via zoom la conferenza stampa di Appunti di un venditore di donne, adattamento dell'omonimo romanzo di Giorgio Faletti, alla presenza del regista e sceneggiatore Fabio Resinaro, dei protagonisti Mario Sgueglia, Miriam Dalmazio, Francesco Montanari, Michele Placido e Paolo Rossi, dei produttori Luca Barbareschi (Cinema Eliseo) e Paolo Del Brocco (Rai Cinema), e della moglie di Faletti, Roberta Bellesini.

Ad aprire le danze è Paolo Del Brocco: "È un progetto molto interessante, un film particolare con un bellissimo cast. Fabio è riuscito a darci sempre l'impressione di essere in quell'epoca. Abbiamo deciso di dargli uno spazio in anteprima assoluta su Sky - passerà successivamente sulla Rai - per dargli la grande visibilità che questo film merita."

Prosegue Luca Barbareschi: "È stato un percorso importante, partito con Dolce Roma e c'è un altro progetto atteso per settembre, e abbiamo avuto un grande risultato. Ho avuto la fortuna di conoscere Faletti qualche anno fa, leggevo i suoi romanzi e pensavo non sarebbero mai stati accessibili a me. Questo libro mi aveva colpito profondamente, più degli altri, aveva un archetipo grossissimo che è il tema di Crono. Crono mangia i figli. La scena che più mi ha colpito è infatti quella finale, il confronto tra i personaggi di Sgueglia e Placido. Noi abbiamo avuto padri grandi, ingombranti, e molti hanno sacrificato le generazioni a venire, molti sono stati pessimi consiglieri. In questo libro c'era tanto, c'erano anche appunti sul terrorismo. Lo stato del protagonista sembra la metafora di una generazione."

Come sceglie i progetti da produrre?
LB: "Le mie scelte sono sempre editoriali, le motivazioni spesso sono interiori. Così è stato per questo o per J'accuse di Polanski. Per me non c'è differenza tra l'uno e l'altro, c'è solo quando mi propongono cose che non mi interessano. Con Faletti c'era questa ferita dentro, che è Crono. Io sono riuscito a uccidere metaforicamente mio padre all'età di 17 anni: quando gli ho detto che avrei fatto l'attore, mi ha risposto “Se non ti guadagni i soldi, io non ti do una lira”. A quel punto ci siamo augurati la morte a vicenda. È stato un bello scontro tra Edipo e Crono."

Il microfono passa quindi nelle mani dei protagonisti e del regista, a cui sono state rivolte varie domande sui personaggi e sulla realizzazione del film.

Come hai risolto la prima difficoltà di passare dalla carta alla sceneggiatura?
Fabio Resinaro: "Dovevamo scandagliare il romanzo, che ha la capacità di creare atmosfere molto particolari. La sfida era quella di riuscire a ricrearle. Ho fatto la scelta come se fossimo negli anni Settanta senza pormi alcun limite, consapevole che saremmo dovuti intervenire con gli effetti speciali per i fondali. Penso che la sensazione di immersione sia così totale. Ho preso molti riferimenti d'epoca per la Milano da bere, per ricreare questa compattezza visiva. La cosa più importante erano le atnosfere, tematiche secondo me. È un film che parla di disobbedienti, anche se il nostro protagonista è un infiltrato che ha un piano per rivoluzionare il sistema. Ho insistito per scrivere io la sceneggiatura perché sapevo di aver capito la storia e il personaggio."

Quali sono stati i riferimenti stilistici?
FR: "Ci sono tanti altri ingredienti che riguardano il genere, anche se è un discorso che non porta a nulla se non ad attaccare delle etichette. Io ho cercato sempre di essere rispettoso dei significati, per questo parlavo di atmosfere. Anche la narrazione ne crea e nel film si trovano tutti questi elementi. Per affrontare questo progetto ho rivisto quasi tutti i poliziotteschi anni Settanta, più che altro per immergermi nelle atmosfere non per ritrovare dei riferimenti da riproporre in termini di linguaggio. Penso che anche Faletti avesse in mente due o tre film di quegli anni, perchè ci sono dei riferimenti a quell'immaginario. Mi sono chiesto come avrebbero girato quei registi con le tecniche di oggi. Siamo negli anni Settanta, ma il linguaggio è moderno. Il lavoro di ricostruzione di Milano è stato il punto di partenza."

Un giudizio sui vostri personaggi?
Mario Sgueglia: "Il divieto assoluto che mi è stato indottrinato è che per fare qualcosa non bisogna giudicare. La vita è un paradosso per quanto mi riguarda, è anche il bello. Bravo diventa un veicolo per il piacere degli uomini. Il piano credo sia arrivato nella sua mente, si sia creato, ma all'inizio sia stato soltanto un modo per fare della sua debolezza la sua forza."
Miriam Dalmazio: "Al contrario di Bravo, Carla fa della sua forza la sua debolezza. Agisce su più piani, ma viene fregata dallo sguardo. Il libro è stato fondamentale per capire meglio il personaggio, insieme all'aiuto di Fabio. Mi sembrava estremamente importante, per Faletti, la ricerca della verità attraverso gli occhi. Volevo dare questa piccola crepa del personaggio e restituirla a Faletti."
Francesco Montanari: "Penso che in un ambiente sporco, dove ogni umanità è come se si fosse rassegnata alla propria spietatezza, a un certo punto arriva Bravo, forte della sua condizione ed è come se si incontrassero delle purezze, che fanno un patto di alleanza. Sarà che sono un romantico, ma ci vedo un gruppo di rappresentanti del bene contro l'abbrutimento generale."

Le ultime parole spettano alla consorte di Giorgio Faletti e a Luca Barbareschi.

Qual è la difficoltà maggiore nell'adattare i romanzi di Giorgio Faletti?
Roberta Bellesini: "Conoscendo i romanzi di Giorgio, sapete che sono molto complessi. Avere ambientazioni fuori dall'Italia non aiuta, il problema principale è questo."
Luca Barbareschi: "Credo Faletti sia difficile da fare perché scrive anche cose spettacolari. C'era questa idea che, siccome non era stato fatto il primo, chissà gli altri e invece bastava saltare il primo. Spero di farne altri perché Io uccido è un bellissimo romanzo."

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